by Giorgio Maggi | 2 Novembre 2017 9:21
E se non fosse la primavera 2018 a mettere la parola fine sulla vicenda Alitalia? A rendere sempre più fondata l’ipotesi che anche la deadline del 30 aprile, indicata dai tre commissari per mettere vendere (in tutto o in parte) la compagnia in liquidazione, sia destinata ad essere nuovamente spostata più avanti nel tempo arriva infatti un articolo di Corriere.it.
Il fondo americano Cerberus Capital Management, che ha di recente rinnovato il suo interesse per l’acquisizione in toto del vettore, punterebbe infatti ad ottenere un bando «nuovo e meno restrittivo» nel 2018, in buona sostanza subito dopo le elezioni politiche da tutti ormai date per certe all’inizio del prossimo marzo.
In questo modo il gruppo di private equity – che, giova ricordarlo, non ha presentato alcun offerta vincolante lo scorso 16 ottobre (al contrario, solo per fare due nomi, di easyJet e di Lufthansa) – approfitterebbe, tra le altre cose, del lavoro sui conti effettuato dai commissari Luigi Gubitosi, Stefano Paleari ed Enrico Laghi.
Secondo il quotidiano online, poi, un dirigente di Cerberus Capital Management, avrebbe espresso la volontà del fondo di non avere «una grande quota di quella che sarà la nuova società», limitano quindi l’investimento nella nuova Alitalia al 10-20% del suo valore, stimato tra gli 800 e i 900 milioni di euro.
L’obiettivo dei prossimi mesi per gli investitori americani sarebbe dunque quello di «creare quei rapporti istituzionali che potrebbero servire, anche sotto forma di moral suasion, per unire la loro offerta a quella di un vettore che comprenda sia l’aviation che l’handling e con una quota minoritaria dello Stato italiano attraverso i capitali di Cassa depositi e prestiti o F2i».
Un’ipotesi, quest’ultima, che andrebbe però nella direzione opposta rispetto a quanto dichiarato di recente dal presidente del consiglio, Paolo Gentiloni, che aveva escluso senza mezzi termini la presenza di una quota pubblica minoritaria nella compagine azionaria del nuovo vettore («Non la vedo come garanzia di italianità»).
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