by Roberta Rianna | 18 Luglio 2016 13:48
«Devo andare a Lourdes, ma ho paura». «In che mondo viviamo? Ho solo voglia di restarmene a casa». Chiacchiere da bar su via Prenestina. Siamo a Roma, è la mattina del 15 luglio. Questa città, come le altre, si è svegliata con la notizia della strage di Nizza. Abbacinata, stordita, spaventata. Un tir sulla folla, 84 morti, una bambola sull’asfalto, l’ombra dell’Isis.
La Costa Azzurra, così cara agli italiani, è a un passo dal nostro confine. E per questo, più che negli altri casi, il terrore è anche nostro. Nizza è molto più che una meta turistica: è un buen retiro, un rifugio patinato, una di quelle località che convintamente credevamo immuni. E invece un tir, una bambola sull’asfalto, 84 morti.
Non sappiamo ancora se ci sia una regia o meno. E qualora c’entrasse il Califfato, se questo avesse la precisa intenzione di colpire l’economia turistica. Eppure lo ha fatto. Perché ora, oggi, c’è chi cancellerà un pellegrinaggio a Lourdes. E chi preferirà non partire affatto, neanche in auto da Ventimiglia a Saint Tropez, figuriamoci.
È un attacco che arriva in piena estate, quando dopo gli Europei di calcio ci avvicinavamo morbidamente al mese di agosto. Credevamo di averla scavallata, credevamo di poterli guardare in santa pace i fuochi d’artificio del 14 luglio su Promenade des Anglais. Ce la raccontavamo.
Pochi giorni fa, abbiamo intervistato Taleb Rifai[1], il segretario generale dell’Organizzazione mondiale del turismo. Gli abbiamo chiesto come immagina il futuro. «La gente continuerà a muoversi perché viaggiare è un diritto umano. Il diritto di godere delle bellezze del mondo, di rilassarsi, di conoscere, di studiare», ci ha detto.
La nostra testata, che del settore è da 51 anni parte integrante, continuerà a battersi per difendere questo diritto. Nonostante la tristezza di oggi.
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