by Andrea Lovelock | 22 Gennaio 2020 7:20
Poco. E per troppo poco tempo. È la posizione dei sindacati sul nuovo prestito da 400 milioni di euro ad Alitalia. Così, l’audizione di martedì sera alla Commissione Lavori Pubblici del Senato delle principali sigle, comprese Anpac e Anpav – seguita a quella del commissario straordinario Giuseppe Leogrande[1] e del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli – si è trasformato in un forte grido d’allarme per un’emergenza che investe tutto il settore aereo italiano e di cui governo e politici – affermano – sembrano sottovalutarne la gravità.
SEICENTO MILIONI DI PERDITE. A detta dei sindacati, da 32 mesi non si conoscono tutte i numeri di Alitalia, dai costi alle perfomance operative, perché non vengono pubblicati i bilanci. I soli dati di riferimento, illustrati con dovizia di dettagli, riguardano i 900 milioni di euro dei prestiti, i 3 miliardi e 70 milioni di ricavi generati dal vettore in quest’ultimo periodo, i 2,3 milioni di euro in fumo al giorno che dal settembre 2018 ad oggi fanno 600 milioni di perdite e i quasi 22 milioni di passeggeri trasportati nell’ultimo anno censito. I sindacalisti lamentano, però, la mancanza di altri importanti dati di riferimento che i tre commissari uscenti, pur in assenza di un obbligo di legge, avrebbero dovuto presentare in Parlamento. Quello stesso Parlamento che tra l’altro, sta mettendo mano a una riforma del trasporto aereo e aeroportuale italiano “senza ascoltare tutti i soggetti interessati”.
RIDIMENSIONAMENTO DELLA FLOTTA. Ma per i sindacati il fattore di maggiore preoccupazione è l’assenza di una visione industriale che possa dare garanzie. Al contrario, nel momento stesso in cui si dice che Alitalia deve implementare gli utili si assiste alla messa a terra di 4 aeromobili ed entro l’anno all’uscita di altri 10 aerei dalla flotta per fine leasing. Una compagnia aerea, si sa, funziona e genera utili se fa volare al meglio tutti i suoi aerei: ma come si fa a fare più utili con una flotta che avrà meno macchine? Andrebbero, quindi, rinegoziati i contratti di leasing e fatti investimenti concreti su nuovi aerei. In particolare quelli per il lungo raggio, considerato che oggi i 25 aerei di questo segmento assicurano ad Alitalia il 55% dei ricavi.
FONDO DI SOLIDARIETÀ DA RIFINANZIARE. Sul taglio del personale tutte le sigle sindacali hanno rigettato in toto questa eventualità asserendo che i 570 milioni di euro del costo del lavoro (dati 2019) del vettore non è certo la voce più incidente ed è comunque uno di quei pochi dati noti. Inoltre è stato ricordato che il mancato rifinanziamento del Fondo di Solidarietà (che oggi necessita di almeno 128 milioni di euro) accompagnato dall’azzeramento dell’addizionale comunale di 1 euro e 50 a passeggero che lo alimentava, è una “mina sociale vagante pericolosissima” perché il Fondo riguarda l’intero comparto e non solo Alitalia e soprattutto perché il suo funzionamento è cessato proprio il primo gennaio scorso. E se non si rimedia subito, è già annunciata una mobilitazione generale del settore. Un comparto che, compreso l’indotto, coinvolge complessivamente non meno di 45mila addetti.
NODO PARTNER INDUSTRIALI. A chiusura dell’audizione, le sigle sindacali hanno rimarcato la necessità di riconvocare al più presto i possibili partner industriali per capire le loro reali intenzioni ed evitare sia lo “spezzatino”, che “azioni di cannibalismo”: i 100 milioni di Delta Air Lines e il taglio richiesto di 2.800 dipendenti, che erano le condizioni iniziali del vettore americano, vanno rinegoziate con intelligenza, così come l’interesse di Lufthansa va valutato in un’ottica “nazionalistica”: stiamo pur sempre parlando del principale vettore nazionale che detiene oltre il 10% di share sul mercato aereo italiano che vanta un movimento di oltre 190 milioni di passeggeri l’anno. Un piatto ricchissimo per il quale urge trovare un commensale italiano credibile e un partner estero altrettanto serio. La mission è di quelle quasi impossible.
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