Le dieci sfide dell’hôtellerie italiana
L’Italia piace agli investitori ma sono ancora diffuse le barriere che impediscono un pieno sviluppo: incertezza economica, gap nelle infrastrutture, patrimonio obsoleto e carenza di competenze manageriali. Sono questi alcuni elementi emersi nel corso di “Le sfide per l’ospitalità del futuro. Investimenti, innovazioni, ispirazioni”, il convegno organizzato da Confindustria Alberghi e Università Bocconi. Da un lato la finanza, con sei fondi e investitori a evidenziare luci e ombre del mercato. Dall’altro nove rappresentanti del mondo alberghiero a dare uno spunto della propria ricetta.
LE SFIDE DELLA FINANZA. La diversificazione continua a guidare Cdp Investimenti Sgr. «Vediamo un consolidamento, ma anche la crescita di realtà minori», spiega Alessandro Belli, head of tourism real estate. Il miglioramento del prodotto per soddisfare la richiesta internazionale si rende necessario per Matteo Bertolini, director advisory, business development di Coima Sgr. E alla bassa penetrazione delle catene e alla necessità di rinnovamento si aggiunge un altro nodo: «Poca managerialità, specie per guidare una catena», è il pensiero di Giampiero Schiavo, amministratore delegato di Castello Sgr.
La correlazione tra hotel e infrastrutture è uno dei nodi cruciali per Carlo Maggi, head of real estate & Infrastructure di Intesa San Paolo Vita, mentre Marion Pignol ceo Italy della francese Batipart insiste anche sulla stagionalità. Ma il Paese fa gola: «Dopo la proprietà del Club Med di Cefalù contiamo di investire ancora, per questo abbiamo deciso di aprire una sede in Italia», spiega la manager. E tra chi guarda all’Italia come “land of opportunity” c’è naturalmente anche il cinese Fosun, che pensa a un fondo immobiliare destinato al settore hospitality italiano, come annunciato da Pietro Clemente, executive director, asset management del fondo cinese. Ma «c’è anche tanto bisogno di gestori che abbiano una visione», spiega.
LE RICETTE DEI GRUPPI ALBERGHIERI. Come rispondono i protagonisti dell’hôtellerie? Dai loro interventi si può raccogliere una sorta di “ricetta” in una decina di punti.
Digitale. Club Med conferma i tre pilastri global, upscale e happy digital. E proprio su quest’ultimo aspetto esplica una ricetta interessante: «abbiamo creato una nuova business unit che ingloba il marketing e l’It per mettersi a disposizione di tutti gli altri nostri servizi», spiega Arnaldo Aiolfi, amministratore delegato di Club Med Italia, direttore progetti Sud Europa.
Scelta dei brand. E per una realtà che opera in white label? Scegliere i brand per una segmentazione precisa: è quello che fa Hnh Hospitality, che oggi conta su 1300 camere in Italia, lavora con Best Western e Ihg (per il marchio Indigo aprirà una nuova struttura a Verona e ha due Doubletree by Hilton in apertura, a Roma e Trieste, ndr). «Per gestire utilizziamo un modello centro-periferia», aggiunge il ceo Luca Boccato.
Asset by asset. Il panorama italiano è frammentato? E allora «occorre andare asset by asset, anche se capisco possa essere una barriera all’ingresso degli investitori in Italia», ammette Gaetano Casertano, ceo di Th Resort. Il gruppo ha anche deciso di separare l’attività immobiliare e quella gestionale.
Formazione e prodotto giusto. Per Nicola Foschini, vice president operations luxury & upscale brands, Accor l’approccio giusto è quello di scegliere il prodotto più adatto al mercato, mentre Pippo Russotti di Russotti Gestioni Hotels non ha dubbi: «Dobbiamo investire sulla formazione, scuola, università e aziende».
Innovazione per il cliente: è questa la chiave che guida Nh Hotels. «Stiamo scommettendo sulle mood rooms, sul superfast check in e check out, e sulla lobby che diventa Alive – illustra Marco Gilardi, director of operations – Per far capire che l’albergo è un posto da vivere”.
Intercettare un mercato che cambia, e anche nuovi target: è quello che ha fatto Citizen M, sedici hotel all’attivo (al 90% di proprietà) e altri diciassette nella pipeline spiega Maria Pia Intini, Development & Investment Director Europe : «Siamo un operatore integrato verticalmente e ci rivolgiamo a viaggiatori urbani e contemporanei».
Andare sul territorio. Risponde Best Western con i due nuovi segmenti Aiden e Sadie, per clientela giovane, connessa e contemporanea, ma non solo: «Occorre cambiare approccio, andare a trovare gli hotel sul territorio», spiega la ceo Giovanna Manzi.
E infine: l’hotel deve aprirsi alla città. Lo sostengono anche in casa Marriott International, dove è stato per esempio rinnovato il brand Sheraton con aree comuni che somigliano ai coworking, spiega Fabrizio Piolanti, director development. L’altra parola chiave è, come sempre, partnership.