Le tre mosse anti overtourism di Roberta Garibaldi

Le tre mosse anti overtourism di Roberta Garibaldi
06 Settembre 07:00 2024 Stampa questo articolo

Tre è il numero perfetto. Tre, come gli interventi di sistema per dare battaglia all’overtourism: definire un modello di gestione del turismo, istituire un centro studi nazionale, valorizzare il turismo rurale e l’enogastronomia nel complesso. Firmato, Roberta Garibaldi, docente di Tourism management presso l’Università degli Studi di Bergamo, presidente dell’Associazione italiana turismo enogastronomico e vicepresidente della Commissione turismo dell’Ocse, già ceo Enit durante il governo Draghi.

Il curriculum parla da solo, siamo di fronte a una delle massime esperte in materia. Che parte però da un punto fermo: «Bisogna ridurre le distanze tra aree ed esperienze da alto afflusso a minore afflusso, per muovere i flussi turistici verso quest’ultime, creando valore economico, sociale e culturale».

Una cosa è certa, osserva la Garibaldi: il fenomeno del sovraffollamento turistico  – da Venezia alla Cinque Terre, passando per il “caso” di Bologna sollevato da un articolo del New York Times – sta mettendo a rischio gli equilibri sociali, culturali ed economici di queste località famose ed esacerbando le conseguenze negative del turismo: vale a dire insofferenza delle comunità locali, perdita di residenti, chiusura di locali di servizio per le comunità, crescita di negozi turistici spesso di scarsa qualità e molto altro. Temi già messi in luce dal sindaco di Amalfi, Daniele Milano e da Aitr.

I dati confermano il malessere: l’Italia è «affetta» da disomogenea distribuzione dei flussi turistici, soprattutto internazionali. Nel 2023, infatti, il 48,1% degli arrivi stranieri si è concentrato in sole sei province: Venezia (11,8%), Roma (10,2%), Bolzano (8,4%), Milano (6,9%), Firenze (5,6%), Verona (5,2%). Qui il livello di concentrazione degli stranieri era pari al 53% nel 2008 e al 51% nel 2013.

«Significa – nota la Garibaldi – che dal 2008 a oggi, in presenza di una crescita complessiva di ingressi internazionali, i turisti si stanno “spalmando” su più regioni anno dopo anno, così come su più mesi. E questa è una buona notizia, perché contribuisce al contenimento del picco agostano legato al turismo interno – +4% di presenze turistiche in dieci anni (2013-2023) – e si sposa con l’allungamento della stagionalità del turismo, con un aumento più accentuato dei flussi negli altri mesi dell’anno: vale in particolare per i mesi di aprile (+51% delle presenze) e ottobre (+35%)».

Ma se è vero che l’overtourism non può essere ignorato, è altrettanto chiaro che le sue conseguenze – puntualizza la Garibaldi – non devono «trasformarsi in un movimento anti-turistico, perché non si terrebbe conto dei benefici apportati non soltanto dall’economia turistica al sistema Italia (vale il 13% del Pil), ma anche di tutti gli aspetti socio-culturali. Il turismo contribuisce infatti a plasmare la cultura globale, favorendo l’incontro ed il dialogo fra differenti culture e limitare lo spopolamento di aree periferiche».

E allora qual è il nocciolo della questione? «Governare questi flussi. Mitigare gli effetti negativi dell’overtourism ci permetterebbe solo di arginare il problema. È invece necessario pensare a interventi di sistema che vadano a modificare l’attuale governance del turismo».

Così, torniamo al principio: i tre interventi di sistema.

1 – «Definire un modello di gestione del turismo. Un passaggio importante dovrebbe essere l’istituzione di un albo dei destination manager, che dovrebbero superare un esame di abilitazione. Un passaggio necessario per chi intende dirigere un’agenzia di viaggi o fare la guida turistica, ma non per chi ha in mano le scelte che incidono sul benessere della comunità locale, sullo sviluppo del settore oltre che la gestione di fondi pubblici. Da una recente analisi sulle Dmo (Destination management organizations) italiane è emerso che soltanto il 55% dei direttori aveva un background di provenienza legato al turismo».

2 – «Istituzione di un centro studi nazionale, con il compito di analizzare il fenomeno in profondità, mappando gli indicatori e determinando la capacità di carico delle diverse destinazioni, raccogliendo e diffondendo le migliori pratiche e proponendo soluzioni concrete ai decisori politici, diventando così un luogo di raccordo con i territori».

3 – «Valorizzazione del turismo rurale e di tutta l’enogastronomia, che è fra i driver capaci potenzialmente di consentire questo cambiamento, perché può riequilibrare i flussi tra città e campagna ed aree interne. In primis, realizzando un piano strategico nazionale capace di mettere il patrimonio enogastronomico nazionale e i suoi asset nelle condizioni di creare valore duraturo per il comparto turistico italiano. Secondo l’indagine congiunta Oiv-Un Tourism, 21 Paesi su 48 consultati hanno un piano strategico nazionale per l’enoturismo, e l’Italia non figura tra questi (a differenza di diretti competitor come la Spagna).

Inoltre, lo sviluppo del turismo delle aree interne richiede la proposta di un modello innovativo, per cui la promozione e l’informazione vanno reimpostate. Eppure è sempre più forte l’interesse dei turisti per destinazioni minori e poco conosciute: basti pensare che il 93% degli italiani vorrebbe fare un viaggio alla scoperta dei piccoli borghi dell’entroterra italiano, ma solo il 58% ne ha compiuto almeno uno nell’ultimo anno. E un desiderio diffuso, provato, si può concretizzare soltanto se sussistono specifiche condizioni».

  Articolo "taggato" come:
  Categorie

L'Autore

Fabrizio Condò
Fabrizio Condò

Giornalista professionista, innamorato del suo lavoro, appassionato di Storia, Lettura, Cinema, Sport, Turismo e Viaggi. Inviato ai Giochi di Atene 2004

Guarda altri articoli