I tre diktat della tassa Airbnb e il rischio autogol
Con la conversione in legge del dl 50/2017 la cosiddetta tassa Airbnb sulle locazioni bervi è divenuta una realtà. Le norme inserite all’articolo 4 introducono, di fatto, tre novità.
Innanzitutto la riscossione e il versamento ai Comuni dell’imposta di soggiorno, con relativa comunicazione degli adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale.
Viene, poi, applicata la cedolare secca del 21% sugli affitti brevi, peraltro già possibile. Infatti, la vera novità riguarda la possibilità di applicare questo regime fiscale sostitutivo anche ai contratti di sublocazione e/o di comodato aventi come oggetto il godimento di immobili da parte di soggetti terzi e l’obbligo per chi esercita l’attività di intermediazione immobiliare e per le società che gestiscono portali telematici (come ad esempio Airbnb e Booking.com), di agire come sostituto d’imposta. Quindi, qualora incassino i corrispettivi relativi ai contratti, dovranno trattenere la ritenuta del 21% all’atto del pagamento al beneficiario e poi provvedere al relativo versamento. Nel caso in cui non sia esercitata l’opzione per l’applicazione della cedolare secca, la ritenuta sarà considerata a titolo di acconto.
Infine l’obbligo per i soggetti che gestiscono portali e transazioni con i privati di fornire i “dati relativi ai contratti sottoscritti per il loro tramite”.
In realtà, le nuove norme potrebbero risultare un autogol, tant’è che Airbnb ha già sollevato dei dubbi riguardo alla privacy, ma anche riguardo alla riscossione e al relativo riversamento della tassa di soggiorno, in quanto ogni Comune ha regole differenti. Non a caso, l’accordo che era quasi in dirittura di arrivo con Firenze, sulla falsariga di quello stipulato con Genova, ma si è arrestato in attesa di conoscere gli sviluppi della situazione. Infatti, entro i 90 giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione, il ministero dell’Economia dovrà emettere un regolamento attuativo.