L’Unione europea mette un freno a Uber. Ieri – così come riportato da La Repubblica – la Corte di Giustizia ha dato una sua risposta al tribunale di commercio di Barcellona, che aveva rinviato in via pregiudiziale una controversia sorta tra un’associazione di tassisti della città e la filiazione spagnola di Uber: la startup non è solo una piattaforma che funge da intermediario tra passeggeri e autisti, ma un vero e proprio operatore del trasporto.
E per tale motivo, non è libera di prestare i servizi attraverso i confini del’Ue senza limitazioni, con i singoli Stati che possono però regolarla. Infatti, Uber dovrà farsi autorizzare nei Paesi che lo prevedono, così come accade per i taxi.
Da Uber fanno sapere che la causa riguarda il servizio Pop, quello in cui guidano i privati, oggi operativo solo in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania. Negli altri Paesi, tra cui l’Italia, gli autisti che lavorano con l’applicazione sono professionisti e la startup è regolata dalle leggi sui trasporti: «Non ci saranno cambiamenti», reclama l’azienda statunitense.
Anche se quella vigente in territorio italiano è una regolamentazione risalente al 1992, ed è per questo che in merito ai vari cambiamenti del mercato vada rivista. E tra modifiche parziali e un’attesa riforma del settore, sembra essere rimandato tutto a dopo le elezioni.