Tour, attività, musei, attrazioni: in una sola parola esperienze. È questo il cuore dell’industria turistica che ha un valore ancora del tutto inesplorato, forse perché «questo segmento non è una vera e propria industria, ma è la parte più bella del travel», sempre più centrale nelle scelte e dentro al portafoglio del cliente e che può riabilitare anche parti di business di agenzie e tour operator.
Parola di Douglas Quinby, cofounder & ceo di Arival, piattaforma di informazione, analisi, business e marketing per chi lavora in questo segmento, che è diventata punto di riferimento globale. Tanto che le “Arival 360 Conference” sono ormai degli happening imperdibili per la travel industry con due eventi regionali in Europa e America e la versione Activate in Asia.
Quest’anno la tre giorni europea si tiene dal 5 al 7 marzo a ridosso di Itb Berlin (dal 7 al 9 marzo) proprio nella capitale tedesca. Una sorta di grande traino per portare le esperienze al centro dell’industria dei viaggi; lì dove si svolge una delle più importanti fiere al mondo, che ritorna in presenza dopo 3 anni di edizoni virtuali.
Per chi ancora non conosce il fenomeno Arival: cosa è? Cosa lo differenzia dalle altre fiere e marketplace del travel?
«Nel mondo degli eventi legati all’industria turistica c’è una sovraesposizione del tema dei trasporti e dell’ospitalità. Il 95% dei report, conferenze, insight, formazione e delle fiere sono dedicate a compagnie aeree, hotel e destinazioni. La prima ragione per cui le persone viaggiano, però, è quella di voler visitare dei luoghi, vivere delle esperienze, conoscere persone, scoprire nuovi cibi, fare attività. Le persone non viaggiano per stare sedute 9 ore dentro un tubo cilindrico. Arival ha riempito un vuoto perché non c’era un luogo dove poter comprendere dinamiche, tendenze, offerta e sviluppi dell’intera gamma di attività e tour. Arival è una piattaforma, è anche un martketplace, ed è un poco anche un media che informa su cosa accade nel settore, dalle dmc alle guide turistiche fino alle Ota».
Qual è lo stato dell’arte del settore dopo lo choc della pandemia?
«Siamo stati travolti dalla pandemia, più di altri, perché il leisure non era un motivo valido per viaggiare. Oltre a essere azzerato, il segmento prevede per sua natura la presenza di gruppi di persone che stanno insieme nello stesso posto: una caratteristica che è stata la pietra tombale in tempi di restrizioni e distanziamenti. Ma allo stesso tempo il recupero è stato vertiginoso e superiore alla media degli altri segmenti. Negli Usa si è ampiamente raggiunto il livello pre Covid e l’Europa è intorno al 90%».
Il Covid ha cambiato il modo di vendere e comprare tour e attività?
«La vera sorpresa è stata proprio la natura del recupero. C’è un exploit dei piccoli gruppi e delle attività su misura. Una volta che il viaggiatore è tornato sul mercato ha scelto di dare più valore alle sue esperienze: spende di più e vuole qualcosa di speciale, di ricercato e quasi unico. Invece che comprare il singolo biglietto per l’ingresso al Colosseo, per esempio, ricerca la visita guidata privata o il tour fatto su misura. Il prezzo non è tutto, e il tempo delle vacanze assume un valore maggiore. È risaputo, poi, che alcune destinazioni hanno registrato risultati molto positivi – Grecia, Italia e Spagna hanno fatto un lavoro straordinario, per esempio – mentre il Nord Europa sta soffrendo così come l’Est Europa, ma per motivi legati all’insicurezza geopolitica».
Secondo una vostra ultima ricerca, almeno la metà dei viaggiatori che hanno acquistato online tour e attività non ricordano il brand con cui hanno prenotato. È solo una carenza di riconoscibilità dei brand? Oppure il turista in generale è disinteressato?
«Credo sia una peculiarità del settore delle esperienze e delle attività che è vasto e frammentato. In generale, il viaggiatore medio saprebbe dirti i nomi di 5 compagnie aeree o catene di hotel. Farebbe scena muta se dovesse nominare 5 operatori che si occupano di tour e attività. Questo è dovuto anche al fatto che mancano operatori multi-destinazione. Sono poche le aziende che hanno sedi e sviluppano operazioni in varie parti del mondo e perfino dello stesso Paese. C’è tanto consolidamento da fare. Stesso discorso per le Ota: il cliente medio conosce Booking e Expedia, ma ignora (o quasi) GetYourGuide e Viator. In realtà questo cela una grande opportunità: se il brand diventa multidestinazione può pensare di creare dei veri e propri pacchetti di viaggio e fidelizzare il cliente portando il business a un livello superiore. City Wonders, per esempio, è un’azienda di questo tipo che partendo da Roma sta esportando i suoi prodotti in altre destinazioni, a partire da Firenze e Venezia. Questo già risponde all’itinerario tipo che un turista compie in Italia».
Queste considerazioni, però, possono essere anche un salvagente per il trade. La prenotazione online di attività, esperienze e tour può imprimere una svolta alle vendite di agenzie di viaggi e tour operator?
«L’opportunità c’è soprattutto per i tour operator e le agenzie che pacchettizzano in casa. Il settore è frammentato, l’offerta è vasta e sfaccettata, il cliente deve essere orientato e consigliato. Scegliere come spendere il proprio tempo e i propri soldi a destinazione non è una pratica facile e rilassante per il turista, soprattutto se parliamo di scegliere tra bus tour, walking tour, boat tour; visita di 4 o di 2 ore? Piccoli gruppi oppure tour individuali? Le variabili e le differenze sono tantissime. L’online booking è quindi un grande strumento per analizzare, comparare e trovare le migliori esperienze da consigliare e vendere al proprio cliente. Soprattutto perché le generazioni più giovani vogliono esperienze ricercate e insolite, fuori dai soliti circuiti. Apprezzano meno il giro panoramico in bus, ma magari scelgono il Pizza-tour a Brooklyn, per esempio».
La sostenibilità è uno dei temi principe di questo periodo storico. Come si comporta il segmento tour e attività?
«Sulle innovazioni e i temi di profonda attualità, anche economica, il travel arriva sempre un po’ in ritardo rispetto ad altri settori. Nonostante ciò le guide turistiche e gli operatori e dmc locali sono la prima linea del settore quando parliamo di overtourism, di impatto del turismo sulle comunità locali, di pratiche di sostenibilità e cura dell’ambiente. Lo scorso anno abbiamo presentato un report che evidenziava come la maggior parte degli operatori si sono focalizzati su policy specifiche e omogenee, soprattutto in Europa. Forza lavoro locale, risorse locali, riciclaggio, eliminazione della plastica monouso. Il dato più interessante è che le grandi aziende puntano molto ai modelli da adottare e alle certificazioni da ottenere, ma in realtà attuano molte meno pratiche di quelle che invece operano le piccole realtà. Queste ultime, infatti, sono più attive e non cercano la certificazione a tutti i costi»
Ci sono esempi degni di nota?
«Parlando di grandi aziende mi viene in mente City Sightseeing che sta implementa i veicoli elettrici nelle Capitali europee, e Tui Musement che mette in atto un processo di certificazione dei fornitori secondo i criteri del Gstc – Global Sustainable Tourism Council».
Parlando di tecnologia e esperienze. Che impatto avrà ChatGpt sull’industria dei viaggi? È più un pericolo o un’opportunità?
«L’avvento di grandi novità tecnologiche che attraversano l’intero mondo produttivo aldilà dei settori di applicazione crea sempre una sorta di aspettativa eccessiva o di atmosfera catastrofica. Così alcuni dicono che “il mondo nuovo sta per iniziare”; altri invece affermano “il mondo per come lo abbiamo conosciuto sta per finire e non c’è più spazio per noi”. Questo vale anche e soprattutto per il turismo. Qualche anno fa tutti erano catturati dalla rivoluzione blockchain, adesso sembra che a nessuno importi più di tanto. Ora è il turno di ChatGpt e io invito tutti a darsi una calmata. Nel settore tour e attività, per esempio, l’intelligenza artificiale non sostituirà le guide turistiche e nemmeno gli operatori. Le esperienze per fortuna sono un segmento dove la connessione umana è prioritaria. Il turista vuole ascoltare storie, vedere volti nuovi, provare cibi insoliti, parlare la lingua locale, incontrare nuove culture».
Certo, alcune opportunità varrà la pena coglierle…
«L’opportunità è quella di affidare all’intelligenza artificiale altre parti del business dei viaggi, così da lasciare gli esseri umani a occuparsi del loro core business, di quello che rende i loro prodotti e servizi unici e speciali. ChatGpt può essere d’aiuto per la preparazione delle descrizioni dei tour e degli itinerari, nelle attività di copy per il marketing e nella revisione e organizzazione dei contenuti online e offline e dei documenti e contratti. Invece di spendere giorni e mesi per tali attività; ora è questione di poche ore se c’è la giusta guida degli umani. L’intelligenza artificiale rende l’operatore più efficiente».
Venendo ai trend topic, accanto a sostenibilità e ChatGpt, c’è anche l’experience in generale. Dall’hotel alla compagnia aerea, ormai tutti vendono il loro prodotto come un’esperienza. Come muteranno le esperienze di viaggio?
«Oggi anche andare in bagno o portare il cane a passeggio può essere definita un’esperienza, in effetti. (Ride, ndr). Può essere tutto o niente. Credo che per certi settori, come gli aerei e gli hotel, la parola experience viene in soccorso alla loro domanda: “Come facciamo a far provare emozioni positive ai nostri clienti mentre sono in camera o in volo? Come facciamo a farli sentire in un luogo piacevole, confortevole, in cui si sentono a proprio agio così da voler riviverlo esattamente così un ‘altra volta in un altro luogo o in un altro viaggio?”. Nel nostro settore, invece, la parola esperienze viene utilizzata perché non è realmente un’industria strutturata, ma un conglomerato di centinaia di piccole attività artigianali, di aziende medio-piccole, di siti e monumenti, di parchi divertimenti e di artisti. Camminare, fare shopping, visitare attrazioni, andare a un concerto: tutto questo è esperienza; è turismo».