Mangia’s nell’era Blackstone:
«Ora puntiamo alla Borsa»
Porta con sé gli insegnamenti di un nonno che lavorava la terra di altri e di un padre, Antonio, che ha fatto impresa senza mai “scordarsi” di pagare fornitori e dipendenti. È una persona seria che sorride sempre Marcello Mangia, ceo dei Mangia’s Resorts e presidente di Aeroviaggi. Lo abbiamo incontrato in occasione del rilancio del Costanza Resort. Dalla storia della sua famiglia in Sicilia ai nuovi progetti, legati soprattutto alla joint venture con Hotel Investment Partners (controllata da Blackstone), ci ha raccontato una crescita sana, e un futuro che non esclude nuove acquisizioni. Il tutto alla maniera della famiglia Mangia: onestamente.
Dove nasce Marcello Mangia come imprenditore del turismo?
«L’azienda nasce 49 anni fa, fondata da mio padre, che era un semplice impiegato della Cit, Compagnia Italiana Turismo, quando decise di mettersi in proprio aprendo una piccolissima agenzia di viaggi a Palermo. Veniva da una famiglia molto modesta di agricoltori che non possedevano terreni, si è sposato giovanissimo, a 19 anni, e ha percorso un po’ tutte le strade del turismo. Abbiamo iniziato come piccolo tour operator outgoing, poi dmc incoming, infine abbiamo capito che per garantire la qualità dell’offerta dovevamo gestire gli alberghi. In questa fase di gestione alberghiera ci siamo accorti che i proprietari non volevano investire, per cui ci siamo indebitati per iniziare ad acquistare hotel. Io sono in azienda da 41 anni, quindi ho seguito passo passo questo percorso con mio padre assieme ai miei due fratelli Giuseppe e Marco e a nostra sorella Tiziana».
Il primo albergo acquistato qual è stato?
«Sciacca mare, poi l’hotel Alicudi e Lipari, e non ci siamo più fermati. Abbiamo 13 tra hotel e resort di cui siamo diventati proprietari e gestori. Siamo diventati i più grandi operatori charter dalla Francia all’Italia».
Come mai c’è questa predilezione verso il mercato francese? Avete un accordo particolare con Tui?
«In realtà è stata una scelta strategica: abbiamo una società in Francia da 40 anni e abbiamo pensato a come far convivere clientela internazionale e italiana, perché i francesi viaggiavano allora solo in bassa stagione e gli italiani in alta. Il match tra queste due domande era perfetto perché gli alberghi si riempivano tutti in modo lineare. Ora sta cambiando tutto e abbiamo bisogno di una clientela internazionale, perché tra mercato francese e italiano vi è sovrapposizione; occorre quindi un ampliamento verso il Nord Europa e gli Stati Uniti. Per questo apriremo un ufficio a settembre a New York e uno a Monaco con partner locali che vanno a sommarsi a Parigi, Londra e naturalmente Palermo».
In questi 41 anni cambierebbe qualche scelta che ha fatto?
«No, tutto è stato un naturale processo di trasformazione».
Come avete trovato l’accordo finanziario con Hip?
«Purtroppo mio padre è venuto a mancare nel 2019, poi c’è stata la pandemia. Ci siamo trovati a gestire un ricambio generazionale, ma tutto è andato per il meglio, abbiamo creato una governance molto solida dando vita un trust, per cui non c’è neanche la possibilità che la società si dissolva. Con un’eredità imprenditoriale in cui sono coinvolti quattro figli può succedere di tutto, quindi abbiamo creato questo fondo in cui i proprietari sono in realtà i nostri discendenti. Io non ho nemmeno un’azione e ne sono felice. Il Covid invece è stato un problema, ma ci ha portato a una riflessione: come azienda familiare o cresci molto lentamente o se cresci velocemente ti indebiti moltissimo, allora abbiamo cercato un partner finanziario. Ci ha contattato Blackstone che voleva acquisire la totalità del nostro patrimonio immobiliare turistico, ma gli abbiamo spiegato che non volevamo vendere, volevamo crescere in modo sano e abbiamo trovato persone oneste, con cui abbiamo un rapporto fantastico. Ora ci siamo divisi i ruoli: siamo in società assieme, anche nella proprietà, ma loro hanno il 75% e noi il 25%, mentre la società Aeroviaggi, cui è affidata la gestione dei resort, è al 100% di nostra proprietà».
Avete dovuto sacrificare qualcosa? Vi hanno imposto dei manager?
«No, assolutamente. Il personale è tutto scelto da noi, e l’età media degli occupati è scesa da 55 a 41 anni».
Dei 13 resort, solo sei sono in comproprietà con Hip. I sette restanti rientreranno in seguito nella partnership?
«No, non è previsto. Loro vogliono arrivare a 20 strutture in Italia, quindi se ne creeranno altre 14 nuove, che non sono i sette di nostra proprietà. Questi ultimi sono alberghi già avviati, invece loro cercano hotel da ristrutturare e rilanciare totalmente».
E magari – una volta arrivati al break even – anche vendere questi resort ?
«L’idea è essere quotati in Borsa».
Quanto è difficile fare tutto ciò in Sicilia? Si riesce a fare impresa?
«Io ho vissuto cinque anni in Francia e due a Milano, al ritorno ho avuto qualche difficoltà a capire, poi ho compreso che il segreto è non applicare i sistemi lombardi o francesi in Sicilia, perché diventa snervante. Qui ancora prima progettare bisogna condividere con il territorio. Non si può pianificare un grattacielo di venti piani come a Ibiza, anche se le norme a volte te lo consentirebbero, bisogna capire dove sei, e averne rispetto. Poi mio padre è stato una persona seria: mai una causa con un fornitore, con un dipendente, e io seguo le sue orme, quindi credo che molti apprezzino il nostro modo di fare impresa. Noi abbiamo 1.200 dipendenti e in azienda c’è un bel clima perché le persone lavorano e vengono pagate; so che dovrebbe essere normale, ma spesso non lo è in Sicilia. Noi dobbiamo solo creare valore e secondo me il personale è il primo valore. I dipendenti non sono i nemici. Qui c’è un sistema virtuoso, forse è una fortuna, e spero che duri. Ad esempio, durante il Covid avevamo 120 dipendenti annuali, avremo potuto metterli tutti in cassa integrazione, invece gli abbiamo pagato lo stipendio pieno. Ci sono gli anni buoni e gli anni cattivi, me lo ha insegnato mio nonno che lavorava la terra di un altro».
Insomma, lei è una sorta di Cucinelli (Brunello, stilista e imprenditore, ndr) del turismo potremmo dire…
«Magari, Cucinelli è un mito, ma faccio anche io quello che posso».