by Gabriele Simmini | 10 Ottobre 2019 7:00
Il 2019 non è stato un anno qualsiasi per l’industria turistica con un mercato che sta vivendo molti (se non troppi) sconvolgimenti: dal consolidamento del trasporto aereo al fallimento di Thomas Cook fino al traballante Mare Italia e alla lenta ma inevitabile erosione del comparto distributivo nel nostro Paese. Segnali d’allarme che stanno tracciando quello che sarà un ennesimo giro di boa per il mercato.
«Quella di Thomas Cook è stata la cronaca di una morte annunciata – sostiene Chiara Gigliotti, general manager di Carrani Tours – Il problema ora riguarda molte strutture alberghiere che sono in ginocchio, soprattutto in Costiera amalfitana. È il modello “pachiderma” del travel che non funziona più e credo che vedremo altri pesanti tonfi, anche nel settore delle banche letti e online. Per questo, adesso, c’è bisogno che i t.o. classici lavorino per avere più fiducia e credito presso gli albergatori e riempire così i vuoti».
Proprio sul caso del colosso inglese, Massimo Diana, direttore commerciale di Ota Viaggi esprime le sue perplessità: «Possibile che – in un panorama europeo dove, dall’Inghilterra della Brexit alla Spagna della crisi politica, fino alla Germania che ha visto crollare il Pil – si creda ancora ai t.o. stranieri che pagano più di quelli italiani? Vuol dire che anche Thomas Cook era una bolla pronta ad esplodere, mentre in Italia, in fin dei conti, siamo riusciti a portare a casa buoni risultati. Sul Mare Italia, infatti, il ritorno del Nordafrica ha fatto da effetto calmierante. Ora i t.o. sani, possono aprire un discorso di maggior fiducia e investimenti con gli albergatori».
Per Guy Luongo, ceo di Ixpira, «non ci sarà un grosso effetto negativo sulle destinazioni italiane, tranne quelle che non possono contare su un traffico di linea importante: ci saranno altri operatori a riempire i vuoti. Certo è che chi ha pagato e pagherà sono quelle strutture che hanno fatto scelte pigre, senza chiedere garanzie e fidandosi troppo del vuoto/pieno con un solo operatore». «È crollato l’impero romano, è caduta l’Unione sovietica, può chiudere anche Thomas Cook – conclude Luongo – Non esistono soluzioni e modelli per tutte le stagioni. Ci sono già realtà che possono recuperare parte di quel bottino di viaggiatori, da Tui a Jet2holidays. Il tema sarà quanto i clienti si sposteranno sull’online o su questi operatori. Ma anche l’online ha avuto il suo colpo con il fallimento di Amoma». In fondo, quindi, vige sempre la vecchia regola del modello di business che deve essere flessibile e saper diversificare: questo vale per i t.o., gli albergatori, e anche per le agenzie.
In Italia, infatti, sul lato distribuzione «è in atto una progressiva chiusura di agenzie, quelle a fatturato medio-piccolo – ricorda Luca Carraffini, amministratore delegato di Geo Travel Network – Il processo accelererà quando anche i t.o. inizieranno a vedere i numeri in flessione. Solo i business più strutturati e competenti possono sopravvivere».
Il rischio conseguente, per Massimo Caravita di Marsupio Group, è quello di vedere il turismo «sempre più come un appendice di un business più grande – come già sta avvenendo rispetto agli investimenti della Gdo e dei fondi finanziari – sottraendo al settore professionalità e visione a favore dei grandi colossi della disintermediazione». Ultimo, ma non meno importante, è il segnale che viene dalle compagnie aeree: i recenti fallimenti di XL Airways, Aigle Azur e Adria sono solo gli ultimi di una lunga lista (airberlin, Wow Air, Monarch, etc) che anche in questo caso sta portando a un consolidamento europeo che sacrifica i vettori con modello di business obsoleto rispetto alle low cost e alla flessibilità di tariffe e rotte pressoché totale.
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