Quasi un plebiscito per il no all’accordo sindacale con Boeing: sarà sciopero, salvo colpi di scena in extremis. Il 94,6% dei lavoratori dell’area di Seattle ha votato contro la proposta, che prevedeva il 25% di aumenti – a fronte di una richiesta del 40% della base – e la promessa di costruire un nuovo aereo. Quindi a partire da mezzanotte – le 9 di domani mattina ora italiana – incroceranno le braccia circa 30.000 dipendenti delle linee di produzione dei 737 Max e 777.
Una grossa tegola – l’ennesima dall’inizio di un anno nato male – per il colosso spaziale americano, la prima per il neo ceo Kelly Ortberg, nominata ad agosto al posto del dimissionario Dave Calhoun. È la prima agitazione dal 2008 proclamata dell’International association of machinists e aerospace workers (Iam) – che rappresenta 33.000 lavoratori di Boeing in tutta la costa occidentale degli Stati Uniti – e potrebbe paralizzare a lungo l’azienda, anche fino 50 giorni, sulla scia di quelli precedenti, e secondo gli analisti avrebbe una ricaduta tra i 3 e i 3,5 miliardi di dollari.
La richiesta di aumento salariale – riferisce la Bbc – è considerata “eccessiva” da Boeing, che sta facendo fronte a enormi perdite finanziarie, anche in seguito a una serie di disavventure degli ultimi anni. Ciononostante, la società si è detta pronta a tornare al tavolo delle trattative, diramando una nota ufficiale: “Rimaniamo impegnati a ripristinare il rapporto con i nostri dipendenti e il sindacato e siamo pronti a tornare al tavolo per raggiungere un nuovo accordo”.
Boeing, come già accennato, sta vivendo un 2024 ad alta tensione: il caso Alaska ha provocato i controlli della Faa su sicurezza e qualità degli aerei, indagini, polemiche degli azionisti e il cambio della guardia al vertice. Sarà banale dirlo, ma ci mancava anche questa.