by Roberta Moncada | 11 Gennaio 2022 14:01
Non solo problemi sanitari e danni all’economia: la pandemia ha influito anche sui livelli di libertà dei viaggi nel mondo. Secondo l’Henley Passport Index – l’indice che classifica tutti i passaporti del mondo in base al numero di destinazioni a cui i loro titolari possono accedere senza un visto, e che si basa su dati esclusivi della Iata – lo scorso anno si è visto il più ampio divario di mobilità tra Paesi ricchi e quelli poveri mai registrato.
Al netto delle restrizioni in evoluzione e delle temporanee chiusure legate al Covid, i titolari di passaporto di Giappone e Singapore sono i più “liberi” al mondo, potendo ora entrare in 192 destinazioni destinazioni senza visto, ben 166 in più dell’Afghanistan, che si trova in fondo all’indice.
Germania e Corea del Sud mantengono entrambe il 2° posto, potendo emettere passaporti in grado di accedere a 190 destinazioni senza visto. L’Italia si trova invece in terza posizione, insieme a Finlandia, Lussemburgo e Spagna con un punteggio di 189. Recuperano due posizioni Stati Uniti e Regno Unito, che nel 2020 erano scesi fino all’8° posto, mentre ora occupano il 6° con un punteggio di 186 Paesi visitabili senza visto all’arrivo.
Omicron ha però penalizzato e peggiorato la situazione di molti Paesi, principalmente africani, tanto che il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha descritto le conseguenze della nuova variante come “l’apartheid dei viaggi”. E questo, nonostante nell’ultimo decennio e mezzo i livelli complessivi di libertà di viaggio siano aumentati in modo significativo.
I numeri, in questo senso, parlano chiaro: secondo i dati storici dell’Henley Passport Index, nel 2006 un individuo poteva, in media, visitare 57 paesi senza dover acquisire un visto in anticipo. Oggi quel numero è salito a 107, ma con una grande disparità tra nord e sud del mondo. Cittadini di Paesi come la Svezia e gli Stati Uniti sono infatti in grado di visitare più di 180 destinazioni senza visto, mentre i titolari di passaporto di Angola, Camerun e Laos hanno accesso libero solo a circa 50.
Il report, però, evidenzia anche delle tendenze positive: gli Emirati Arabi Uniti dopo aver recentemente ripristinato lo storico accordo mediato dagli Stati Uniti con Israele, sospeso per la maggior parte della pandemia, si trovano ora si trova al 15° posto nella classifica, il posto più alto mai raggiunto dalla nazione araba nella storia dell’indice, con un punteggio di 175 senza visto/visto all’arrivo. Anche Ucraina e Georgia hanno compiuto progressi significativi, avendo entrambe guadagnato 25 posizioni nella classifica negli ultimi 10 anni.
Secondo Christian H. Kaelin, presidente di Henley & Partners, l’apertura dei canali di migrazione è un fattore chiave per la ripresa post pandemia: «I passaporti e i visti sono tra gli strumenti più importanti che incidono sulla disuguaglianza sociale nel mondo poiché determinano opportunità di mobilità globale i confini entro i quali nasciamo e i documenti che abbiamo il diritto di detenere non sono meno arbitrari del colore della nostra pelle. Gli stati più ricchi devono incoraggiare una migrazione positiva verso l’interno nel tentativo di aiutare a ridistribuire e riequilibrare le risorse umane e materiali in tutto il mondo, compreso il miglioramento delle dimensioni e della qualità della propria forza lavoro».
Sottolinea invece l’importanza dell’automatizzazione dei processi per il controllo passeggeri Nick Careen, vicepresidente senior per le operazioni, la sicurezza e la protezione di Iata, il quale afferma che «gran parte dei progressi compiuti negli ultimi due decenni per dare ai passeggeri il controllo dei loro viaggi attraverso processi self-service sono stati annullati a causa delle restrizioni legate alla pandemia. Prima che il traffico riprenda ad aumentare, abbiamo una finestra di opportunità per fornire miglioramenti dell’efficienza a lungo termine a passeggeri, compagnie aeree, aeroporti e governi. Il nostro recente sondaggio ha rilevato che il 73% dei passeggeri è disposto a condividere i propri dati biometrici per migliorare i processi aeroportuali e l’88% condividerà le informazioni sull’immigrazione prima della partenza per un’elaborazione accelerata».
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