“Il programma che va ora in onda è stato registrato prima dell’attuale emergenza sanitaria”. Con questa sottolineatura forse un tantino eccessiva è iniziato l’11 febbraio Pechino Express, il programma in onda su Rai 2 che dal 2012 ha contribuito a far conoscere al grande pubblico il Sud-est asiatico. È lo stesso giorno in cui si è chiusa Bit a Milano, dove l’assenza di operatori cinesi e focus dedicati al Paese del Dragone è stata palpabile. Nell’aria però il trending topic #coronavirus c’era eccome. E gli operatori hanno registrato da parte dei clienti una certa avversione non giustificata, se non dal facile allarmismo, verso l’Oriente tout court.
«Prima si fa chiarezza sul virus e meglio è – dice il vicepresidente Astoi Andrea Mele – Stiamo ricevendo richieste di informazioni, cancellazioni, posticipi e cambi destinazione. Credo che in Thailandia o nella Penisola arabica i prezzi scenderanno e le Americhe diventeranno meta rifugio».
Pagano le conseguenze nell’immediato gli operatori specializzati. «Con Mistral siamo i re dell’Asia e in assoluto i più colpiti – racconta Michele Serra, presidente Quality Group – La Cina è a zero ed è persa per 12 mesi secondo me, anche se la situazione rientra; Giappone e India vanno a rilento. Dopo i primi giorni di malumore, abbiamo capito che il problema andava guardato in faccia e ipotizzato diversi scenari: il peggiore è che il consorzio chiuda in pareggio, contando sugli altri brand. La gente continua a partire, anche se ben lontano dall’Asia».
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Che i viaggi non si fermeranno è anche il pensiero di Massimo Loquenzi, appena rieletto presidente Visit Usa: «Non ci sono ripercussioni sugli Stati Uniti, anzi le previsioni li vedono avvantaggiati. Il mercato italiano è il più impressionabile d’Europa: dopo l’11 settembre i viaggi furono congelati per sei mesi». E la suggestione, secondo molti, è anche responsabilità dei media.
«Aggiorniamo in tempo reale le nostre agenzie; per adesso reggiamo l’urto di un evento che non coinvolge solo il turismo e dove tutto dipende dalla durata – spiega Antimo Russo, direttore Bluvacanze – In virtù del monitoraggio quotidiano del fatturato, le giornate variano a seconda di come la notizia è posizionata nei tg».
Il ceo di Ixpira Guy Luongo prevede che, «se rientra nel giro di un mese, il virus peserà sul manifatturiero e meno sul turismo. In termini assoluti, non si avverte paura di viaggiare per il leisure, invece il business travel sta soffrendo di più. Temo il flop Olimpiadi in Giappone».
Per Sandro Saccoccio, senior product manager Meridiano, «il problema degli italiani è che non conoscono la geografia e confondono la Cina con il sud est asiatico e non solo. Inoltre, gioca contro il sistema dei media. È giusto che la notizia apra i tg, ma va trattata in maniera diversa». Intanto, alcuni tra gli adv intervistati in Bit nel nostro “Spazio Agenzia” concordano sulla difficoltà per le crociere: «Chi le stava valutando oggi è titubante, non vuole rischiare la convivenza con migliaia di persone, nonostante le misure precauzionali siano le più rigide», dicono.
La percezione non migliora sul fronte incoming. Nel 2020, prima del virus, erano previsti oltre quattro milioni di arrivi dalla Cina. Se è vero che il Paese ha sospeso la vendita di pacchetti e viaggi di gruppo e che l’Italia ha interrotto i voli diretti, è anche vero che le frontiere non sono chiuse. I cinesi possono arrivare con scalo in Paesi che non hanno le stesse misure restrittive, pur avendo predisposto i controlli richiesti dall’Oms.
La startup Europass Italia ipotizza la ripresa nel 2° trimestre, dal ponte del 1° maggio. La manager Paola Pacchiana ricorda che «i cinesi passano più tempo a casa, leggendo WeChat e Weibo. È il momento di farli sognare con policy fluide».
Ma l’effetto domino c’è. «Dalle guerre alla Sars le ho viste tutte. Intanto gruppi da Usa e Brasile prendono tempo e ci lasciano senza lavoro», dice su La7 Chiara Gigliotti di Carrani Tours.
Gli albergatori iniziano a contare i danni. A detta di Alessandro Nucara, dg Federalberghi, un blocco così rigido su visti e aeroporti andava concordato con altri Paesi. Claudio Albonetti, presidente Assohotel, teme per «il turismo stagionale». Per Venezia il virus è la ciliegina sulla torta dopo l’acqua alta; grande responsabilità è attribuita ai media: «Il più grande deterrente è la paura, come è successo per l’alta marea – commenta Claudio Scarpa, direttore Albergatori Venezia – Quando c’è timore nessuno viaggia volentieri».
Ma la fiducia nel futuro non manca. «Non corriamo. Non creiamo troppi allarmismi. Qualcosa in positivo evolverà». Parola di Nardo Filippetti, presidente di Astoi.