Quanto vale il turismo nel mondo? Lo studio McKinsey

Quanto vale il turismo nel mondo? Lo studio McKinsey
23 Luglio 10:55 2024 Stampa questo articolo

Un settore in continua trasformazione, con una crescente valenza economica per la sua trasversalità. Lato offerta, forti accelerazioni nella digitalizzazione impiegata ai fini commerciali; e sul fronte della domanda ricerca di esperienze sempre più personalizzate. È il turismo, bellezza! Analizzato dalla società di consulenza McKinsey, che gli assegna il ruolo di comparto trainante della economia mondiale, per il suo contributo pari al 10% del Pil mondiale.

Un ambito così dinamico che gli scenari cambiano di anno in anno e, di conseguenza, anche gli studi e le ricerche di mercato come questa, che analizza anche gli asset della mobilità e dell’ospitalità, che a loro volta devono adeguarsi a una domanda in costante evoluzione. Le previsioni di McKinsey, riportate dal Sole 24 Ore, tracciano un trend più che confortante: i viaggi nazionali cresceranno del 3% annuo, con un consuntivo di 19 miliardi di pernottamenti entro il 2030, mentre entro quella soglia temporale i viaggi internazionali potranno generare circa 9 miliardi di pernottamenti.

Ma è l’incidenza economica a dare evidenza del crescente peso specifico del settore: la spesa per i viaggi nel 2024 si attesterà sugli 8,6mila miliardi di dollari (pari a circa 7,8mila miliardi di euro), vale a dire poco meno del 10% del Pil globale.

Ma la parte più interessante dello studio è quella che cerca di soppesare il valore dei vari mercati, fornendo utili chiavi di lettura a operatori e investitori: infatti, viene evidenziato che, nonostante i viaggi internazionali siano da sempre considerati quelli ad alto valore aggiunto, è il turismo domestico ad avere un enorme peso sulle economie nazionali.

A rendere inconfutabile questa affermazione, bastano tre esempi-chiave: a partire dagli Stati Uniti dove, conti alla mano, il traffico turistico domestico sfiora i 1.000 miliardi di dollari (9.230 miliardi di euro) con una quota-mercato che tocca il 68% sul totale dei viaggi effettuati dagli statunitensi. Lo stesso andamento si riscontra in Cina, immenso mercato turistico ancora tutto da implementare dove ad oggi l’incidenza dei viaggi nazionali è del 74% con una spesa pari a 744 miliardi di dollari (684 miliardi di euro). Terzo esempio eclatante è rappresentato dall’Europa dove il 70% dei viaggiatori europei di fatto viaggia all’interno del vecchio continente, privilegiando soprattutto Spagna (18%), Italia (11%) e Francia (8%).

Lo studio McKinsey passa poi ad analizzare i principali mercati di provenienza, ovvero Stati Uniti, Germania, Uk, Unito, Cina e Francia che nel 2023 hanno generato quasi il 40% della spesa turistica totale nel mondo, consolidando il ruolo di big spender anche per l’indotto generato dalle trasferte turistiche.

Di sicuro conforto e di grande utilità per gli operatori della filiera turistica è anche sapere che i due target emergenti dei Millennial e Gen Z dedicano quasi il 30% del loro reddito ai viaggi, una quota ben superiore ai turiati over 50.

Accanto ai macro scenari ci sono poi le rilevazioni sui singoli mercati e per quanto riguarda l’Italia, i numeri sono del tutto soddisfacenti: lo scorso anno il nostro Paese ha fatto registrare 134 milioni di arrivi e 451 milioni di presenze, con un incremento del 3% rispetto ai dati del 2019 (ultimo anno pre-covid), e con un’incidenza sul Pil che si è attestata al 10% e che fa del turismo uno dei settori-chiave per la crescita economica della penisola. Ma gli analisti di McKinsey avvertono pure che per mantenere certi primati il nostro turismo necessita di una intelligente sinergia tra operatori privati e amministratori pubblici, per investire adeguatamente su mobilità, accessibilità e ricettività, ovvero i tre fattori/chiave senza i quali le potenzialità dell’Italia si potrebbero sgonfiare come un palloncino male annodato.

E riguardo, infine, ai due asset vincenti per la crescita del nostro settore, lo studio McKinsey indica lo sviluppo di adeguate offerte per lo slow travel e una serie di investimenti mirati sul luxury, con una cura anche per rimediare a eventuali fenomeni di overtourism: investire sulle destinazioni meno note che hanno comunque patrimoni artistico-culturali di grande valenza per gli stranieri.

Come dire che l’Italia lo può fare: rispetto a tante altre mete, può permettersi di diversificare, perché è talmente elevata la ricchezza del nostro patrimonio ambientale e culturale, che basta pianificare e promuovere con intelligenza.

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Andrea Lovelock
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