Quei due tour operator Usa
che riportano i turisti in Israele
Tenere una posizione equidistante rispetto al conflitto nella Striscia di Gaza. Anche questo raccontato da Travel Weekly è turismo, o almeno è la rotta scelta dal tour operator americano Mejdi Tours, nel momento in cui ha deciso di tornare in Israele, dal 9 marzo: sarà quasi “primavera”, un auspicio più che una banale certificazione del calendario. Nessuno sa quando le armi taceranno, ma di certo ciò che la guerra divide il turismo ha il potere di unire. Da qui l’idea di Mejdi di ripartire in Israele, garantendo però una prospettiva imparziale sulla guerra con Hamas. Anche perché il t.o. con sede a Delray Beach, in Florida, è famoso per i suoi viaggi focalizzati sul cambiamento sociale, di solito condotti, appunto, da guide israeliane e palestinesi. E forse vale la pena sottolineare “guide” prima di tutto. Non a caso Mejdi ha previsto un nuovo itinerario di sei giorni, “Israele and Palestina beyond the headlines”. Perché spesso la realtà va “oltre i titoli”.
Un “core business” diverso rispetto alla concorrenza, quello di Mejdi Tours, sintetizzato così dal direttore delle operazioni, Kim Passy Yoseph: «Nessun’altra azienda oggi è così coraggiosa da offrire una narrazione aggiuntiva. In questo momento gli altri sono impegnati a sostenere una delle parti in causa e organizzano viaggi concentrati esclusivamente o su uno o sull’altro versante».
L’obiettivo di Mejdi, quindi, ribadisce Yoseph a Travel Weekly, è quello di «oltrepassare i titoli dei giornali riunendo i visitatori con guide, esperti, comunità locali, famiglie e organizzazioni per comprendere meglio la situazione sul campo e supportare chi continua a lavorare per un futuro di pace».
Ma c’è un altro scopo, ancora più profondo, che Yoseph intende sottolineare nella sua intervista: «Ho voluto questo tipo di viaggi per contrastare l’aumento degli attuali tour in Israele che accompagnano gli ospiti nelle aree dove centinaia di israeliani sono stati uccisi il 7 ottobre durante l’attacco di Hamas, comprese le comunità di kibbutz».
«Alcuni turisti vogliono vedere le macerie delle case, andare negli alberghi coinvolti nel raid, altri vanno in giro a scattare foto. Francamente sono disgustato da questi aspetti», si sfoga Yoseph, che ha un’amica d’infanzia ostaggio di Hamas da oltre 50 giorni.
C’è poi un punto oggettivamente delicato, quello che riguarda le assicurazioni dei viaggi in Israele. «È un problema enorme – osserva Yoseph – I viaggiatori hanno difficoltà a ottenere un’assicurazione. Alcune aree di Israele sono considerate zona di guerra, quindi chiuse al pubblico, il che ovviamente limita i luoghi in cui possono operare i t.o.. Per cui non è possibile organizzare un viaggio regolare perché una parte del nord è off limits, così come una vasta fetta del sud».
È americano anche Ya’lla Tours, con sede nella Carolina del Nord, ma il ritorno dei tour a maggio e dei pellegrinaggi a fìne agosto si articolerà su parametri differenti. Specializzato in viaggi in Medio Oriente e nel Mediterraneo, il t.o. porterà gli ospiti – con il permesso dell’esercito israeliano – a sud dello Stato ebraico, dove numerose comunità di kibbutz sono state abbandonate a causa della guerra. Soprattutto, come ha spiegato il presidente Ronen Paldi, originario di Israele, offrirà un’estensione facoltativa di un giorno per un incontro con i reporter locali che seguono il conflitto.
Un’idea che, secondo Paldi, potrebbe aiutare i turisti a studiare da vicino l’effetto a catena dei danni causati alle comunità locali. Le estensioni non saranno commercializzate o promosse e gli ospiti interessati verranno selezionati per determinare il loro livello di interesse: «Voglio solo assicurarmi che non lo facciano per un selfie; che abbiano davvero un interesse e molta empatia».
A causa della guerra a Gaza molti t.o. hanno cancellato i tour in Israele per tutto il 2024. Il trasporto aereo non è tornato alla normalità, ma molte compagnie aeree europee hanno già ripreso il servizio ed El Al aumenterà l’operativo per gli Stati Uniti in primavera. Proprio la maggiore disponibilità di di voli è uno dei motivi che ha indotto Ya’lla Tours a ripartire con i tour. «A oggi – ha sottolineato Paldi – la maggior parte delle compagnie aeree europee stanno tornando in Israele ed entro maggio lo faranno anche tutti i vettori statunitensi. Se le compagnie ritengono che i voli in Israele siano sicuri, perché non far volare i turisti?».
Sarà difficile debellare la paura in un colpo solo, ma Paldi assicura: «La guerra si combatte in un’area che non visitiamo mai. La distanza da Gaza a Gerusalemme è di 90 miglia e da Gaza alla Galilea di 160: i turisti non saranno mai nemmeno vicini a nessuna zona di guerra».
L’obiettivo, spiega, è la politica dei piccoli passi, «per essere pienamente operativi entro l’autunno del 2025. D’altronde, la vita quotidiana in Israele lentamente si appresta a tornare alla normalità. Quasi 200.000 dei 330.000 riservisti mobilitati cominciano a essere congedati, mentre scuole, università, centri commerciali, stadi, musei e teatri sono stati riaperti».
“Normalità” può fare rima con turismo. Come una porta che si spalanca verso orizzonti di pace.
Giornalista professionista, innamorato del suo lavoro, appassionato di Storia, Lettura, Cinema, Sport, Turismo e Viaggi. Inviato ai Giochi di Atene 2004
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