La prima domanda è il rituale, benché sincero, “come stai?”. E la risposta è da antologia: “Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara che l’inutilità”. I versi sono di Cesare Pavese. Chi li recita è Michele Serra, l’uomo della resistenza dell’outgoing.
In trincea con i suoi, il presidente di Quality Group non ha ceduto alla tentazione di fare cassa con il mare Italia o in qualsiasi altro modo. La sua è una missione: organizzare viaggi culturali nel mondo. E tornerà a svolgerla dalla prossima settimana, quando – complice la ripartenza di alcune mete extra Schengen – riapriranno gli uffici della sua Mistral, chiusi da 18 mesi.
L’Elenco D è stato liberato dalla quarantena. Questo che margine d’azione vi restituisce?
«Possiamo tornare a lavorare su alcuni Paesi come Giordania, Armenia, Israele per i gruppi ed Emirati Arabi. Per la prima volta in 18 mesi abbiamo avuto conferme e gruppi in opzione. Già dal giorno in cui è stata pubblicata l’ordinanza, sono arrivate le prime telefonate. Dalla prossima settimana Mistral riaprirà i suoi uffici: prima con 4-5 persone, poi si vedrà, in base all’andamento del booking. Voglio che si torni a lavorare in presenza, senza porzioni di smart working, perché l’ufficio era un luogo di festa, la nostra casa, che siamo stati costretti ad abbandonare un anno e mezzo fa».
Tornerete cambiati?
«Certamente. Non immagino una ripartenza, ma una ricostruzione. Non vedo alcuni miei impiegati da un anno e mezzo. Dovremo ricostruire l’ambiente di lavoro, la rete di rapporti. Però mi immagino un team più entusiasta, più grato, immensamente più agile. Quello che ho sempre visto, anche in questi mesi, è stata un’enorme disponibilità e un’affezione alla squadra. Saremo pionieri di un nuovo inizio e dovremo essere versatili: magari alternare il lavoro in ufficio a quello delle guide o dei rappresentanti all’estero. Dovremo essere pronti a fare di tutto».
E Michele Serra, invece, com’è cambiato?
«È dura alzarsi al mattino e sapere che non succederà nulla. Quella che ho affrontato è stata una vera e propria umiliazione: l’esperienza di diventare inutile. Il Covid mi ha tolto tutte le vanità. Ho imparato a essere uomo. E ho compreso ancora più profondamente la ragione del nostro lavorare: un bene sociale, che si accompagna al privilegio di poter viaggiare».
Dall’inizio della pandemia, qual è stato il momento più difficile?
«Luglio 2021. Ho preso un aereo, il primo dopo tanto tempo. Ero in Portogallo e avevo l’Oceano davanti a me. All’orizzonte, laggiù, c’era un Paese chiuso. In quel momento ho pensato: non ricominceremo mai più».
E invece ora tutto lascia presagire che si ricomincerà.
«Sì, credo che far viaggiare i vaccinati nei Paesi dove si è vaccinati sia la strada giusta. Il turismo non è Maldive e Zanzibar, è molto più complesso. Non si può limitare la ripartenza a mete iconiche. Quella era una strategia da pandemia. Ora il mondo è più aperto e ciò che serve è una linea chiara, un criterio univoco, per cui un Paese è aperto e un altro chiuso. Sarebbe importante collaborare per questo con il ministero della Salute».
Come immagina l’inverno 2022 di Quality?
«Intanto è essenziale che non si torni indietro, che ciò che si apre rimanga aperto. Se superiamo l’autunno in questo modo, ne siamo fuori. Sul fronte delle destinazioni, credo avremo poco ma buono: un Nordeuropa che dà segnali di allungamento di stagione; il Canada che potrebbe sostituire gli Usa, ad esempio. In inverno “mangeremo” ciò che c’è ma mi aspetto due grosse novità: Stati Uniti e Giappone entro febbraio-marzo. Insomma, si riparte. Con quanta velocità non so, ma si riparte».
E se ci fossero nuove chiusure improvvise?
«Il tour operator ragiona in base a rischi calcolati. Si prende certi rischi. Solitamente sappiamo chi viaggia e cerchiamo di mandare le persone nei Paesi che riteniamo più sicuri».
Quali sono al momento i marchi attivi?
«A parte Mistral che si appresta a riaprire, con Italyscape abbiamo continuato a proporre turismo nazionale itinerante di classe; poi hanno lavorato dignitosamente quest’estate Europa World e Il Diamante che, in assenza dell’Africa, si è focalizzato sul Nordeuropa e ora anche sul Canada. Un grosso lavoro nel frattempo è stato fatto sulla tecnologia. Migliorie portate avanti nonostante tutto».
È possibile investire in tempo di crisi?
«Sì, ovviamente senza buttare via soldi, ma focalizzandosi su ciò che è davvero fondamentale. E se abbiamo potuto investire nel digitale è anche perché la situazione economico-finanziaria è serena: gli aiuti, nonostante i ritardi, sono stati congrui; e le banche, per la nostra pregressa situazione virtuosa, ci hanno dato fiducia. Comunque il nostro problema non sono i soldi, ma l’impossibilità finora di lavorare».
I voucher in scadenza sono un grande peso per voi?
«Ne abbiamo una buona quantità, legati soprattutto alla riconversione di viaggi in Cina e Giappone. Ma siamo in grado di farvi fronte».
Tra gli investimenti anche quelli in formazione per le adv. Come si è comportata la distribuzione in pandemia?
«A mio parere, gli agenti di viaggi hanno affrontato la sfida più dura di sempre con coraggio e capacità di resistenza. Il nostro rapporto con loro si è evoluto: sono cascate tutte le barriere, sono penetrati nei nostri segreti, nella cultura aziendale. Ci sentiamo ancora di più parte della stessa famiglia, con l’amore per questo lavoro incollato sulla pelle. Secondo me c’è stato anche un enorme salto professionale e nel rapporto con la clientela: sono diventati draghi del marketing digitale. Ora la squadra è certamente più professionale».
Eppure non sembra esserci compattezza nella filiera.
«Il virus ci aveva dato un suggerimento, che poi era quello del Papa: dalla pandemia non se ne esce, se non insieme. Il mondo globale – con i Paesi che non accettano i reciproci vaccini – ha perso un’occasione: non ha imparato a remare nella stessa direzione. Non solo nel turismo, ma in generale ne usciamo più disuniti di prima».
La sua amata Cina un po’ l’ha delusa?
«Mi delude la mentalità xenofoba che la pandemia ha alimentato. “Ognuno è chiuso in casa con i propri bacilli e le proprie convinzioni”, dice un mio amico missionario. Quando ci risveglieremo da questo brutto sogno, ci renderemo conto del danno enorme arrecato al mondo».
Il turismo, in questo quadro, acquisisce un ruolo ancora più importante.
«Assolutamente. Il nostro lavoro fa del bene, contribuisce ad abbattere i pregiudizi. Il paradosso è che siamo considerati venditori del fatuo, quando dovremmo essere il ministero dell’Istruzione».