Rubrica Fiscale: acconto, caparra, cauzione, come classificare i pagamenti ai fornitori turistici

Rubrica Fiscale: acconto, caparra, cauzione, come classificare i pagamenti ai fornitori turistici
22 Marzo 07:00 2024 Stampa questo articolo
L’argomento di oggi.

[M.M. gestore di un villaggio camping sul Lago Maggiore ci scrive a proposito di come trattare contabilmente i pagamenti ricevuti dai clienti al momento della prenotazione].
In effetti noi quando confermiamo una prenotazione chiediamo a copertura il pagamento di un importo per il quale non emettiamo fattura o scontrino, che emettiamo invece al saldo del conto, quando il cliente sta lasciando la struttura al termine del soggiorno. E’ corretto?

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La nostra interpretazione.

Anche diverse agenzie di viaggi ci hanno confermato che spesso quando un albergo richiede il pagamento di un importo per confermare una prenotazione, non emette alcun documento fiscale, mentre fatture e documenti commerciali vengono poi rilasciati al termine del soggiorno. Invece un numero minore di fornitori invia all’agenzia una fattura per ogni pagamento ricevuto. Per definire il corretto comportamento nelle fattispecie in esame trascriviamo in proposito le seguenti citazioni da Fernando Reggi, uno dei nostri commentatori tributari di riferimento.

1 – “Gli acconti sul prezzo pattuito versati in relazione alla futura prestazione di un servizio, sono da assoggettare ad Iva ai sensi dell’art. 6 comma 4 del DPR n. 633/1972”.
Ben s’intende che occorre quindi l’emissione in formato elettronico del documento commerciale o della fattura se richiesta dal cliente e l’annotazione del relativo importo nel registro dei corrispettivi.

2 – “La caparra confirmatoria di cui all’art. 1385 del codice civile, proprio per la sua natura risarcitoria non è soggetta ad Iva”.
In altre parole manca il presupposto impositivo di cui all’art. 1 del DPR n. 633/1972 in quanto, in caso di risoluzione del contratto, viene a mancare la prestazione di servizi per cui si sarebbe dovuto pagare un corrispettivo. La caparra confirmatoria viene allora a costituire il risarcimento dell’inadempimento contrattuale ed è in ogni caso esclusa dalla base imponibile Iva anche ai sensi dell’art. 15 comma 1 punto 1 del DPR n. 633/1972.
Più precisamente, le regole civilistiche sono le seguenti. Se il contratto viene regolarmente adempiuto, il fornitore restituisce la caparra confirmatoria oppure la contabilizza in conto corrispettivo.
Se il contratto non va a buon fine per inadempimento del cliente, il fornitore trattiene la caparra.
Se il contratto non va a buon fine per inadempimenti del fornitore, il cliente può esigere il doppio della caparra.

3 – “Anche la caparra penitenziale di cui all’art. 1386 del codice civile, che è versata quale corrispettivo del diritto di recedere dalla pattuizione, può considerarsi non soggetta ad Iva, come confermato da plurime ed uniformi Risoluzioni Ministeriali”.
In altre parole, anche in questo caso sotto il profilo Iva prevale la natura risarcitoria dell’inadempimento contrattuale e continua a non avere luogo la prestazione dei servizi originariamente convenuta.
Il codice civile presuppone la stipula di un contratto contenente una specifica clausola a regolare il diritto di recesso per una o per entrambe le parti e la caparra ha la funzione di corrispettivo del recesso.

4 – “Le somme versate a titolo di cauzione a garanzia dell’adempimento non sono da assoggettare a Iva per assenza del presupposto oggettivo, non essendo corrisposte in dipendenza di una prestazione di servizi” .
Si tratta cioè di una garanzia economica dalla quale poter attingere nel caso in cui i termini di un contratto non vengano rispettati. Il contratto stesso deve quindi precisare quali siano le possibili inadempienze e con quali modalità sia possibile attingere dalla cauzione. Più nello specifico dei casi che ci riguardano, cioè quelli del soggiorno in strutture ricettive, si tratta in genere di un deposito cauzionale a copertura di eventuali danni o pregiudizi che potrebbero essere causati dall’ospite durante la sua permanenza nella struttura. Esso potrà quindi essere trattenuto dalla struttura stessa nella misura in cui si verifichino e si quantifichino tali danni o pregiudizi.

In conclusione, affinché un pagamento non si configuri come un normale corrispettivo assoggettato a Iva (caso 1), con conseguente necessaria emissione di documento commerciale o fattura e gravame immediato dell’imposta, occorre l’esistenza di un contratto a data certa che ne specifichi la diversa altra natura fra i casi 2, 3, 4. Poiché l’onere della prova che non si tratta di un corrispettivo assoggettato a Iva ricade sui contribuenti, è necessaria la presenza di un documento a data certa con valore probatorio.

Una email ordinaria è da questo punto di vista una prova “debole” e molto dipende dalle caratteristiche del server che gestisce il mail system utilizzato.
Una PEC (Posta Elettronica Certificata) è una prova “forte”, però occorre ricordare che la PEC certifica il contenuto del messaggio, ma non necessariamente il contenuto degli allegati.
Una prova più “forte” è un file contrattuale in formato PDF/A con firma elettronica a data apposta nel corpo del file stesso.
La prova più “forte” in assoluto è un file contrattuale in formato PDF/A con estensione .p7m, vale a dire trasformato in file .p7m dal programma di firma elettronica: è lo stesso formato che viene utilizzato per tutte le comunicazioni alle Pubbliche Amministrazioni.

La Newsletter del Centro Studi ©ADVMANAGER, 22 marzo 2024 n. 113 (Rubrica Fiscale anno iii n.41)
Francesco Scotti senior advisor L. n. 4/2013, coordinatore
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