Prima i rumors in Transatlantico sulla volontà di investire nel travel. Poi la costituzione di un ministero ad hoc. Infine, nel suo discorso al Senato, l’incitazione a cambiare in chiave sostenibile. È dalla bocca di Mario Draghi, il premier taciturno, che è uscita più volte in una settimana la parola turismo, che in due anni da quella del ministro Dario Franceschini.
Ma la grande sorpresa, suonata quasi come una dichiarazione d’amore nei confronti del settore, è arrivata in serata nella sua replica a Palazzo Madama. Mettendo da parte il consueto aplomb, il primo ministro ha dichiarato con forza: «Dopo la pandemia alcuni non riapriranno, ma il turismo riaprirà. Investire nel turismo, sostenerlo, non significa buttare via i soldi. Perché quei soldi torneranno indietro».
Il punto-chiave, al momento, è mettere in sicurezza il tessuto produttivo: «Servono misure che permettano alle imprese di non fallire e ai lavoratori di non perdere il posto. Si deve impedire alle aziende di fallire perché altrimenti si perderebbe il capitale umano».
Una definizione – quella di capitale umano – pronunciata con una sorta di struggente consapevolezza. Di fatto, proprio in queste settimane in cui le varianti del Covid sembrano impazzare, e la campagna vaccinale non decollare, molte aziende del turismo (seppur parzialmente ristorate) intravedono lo spettro del default.
La speranza di un intero settore è che Draghi passi al più presto dalle parole ai fatti. Prestando all’outgoing la medesima attenzione che sembrerebbe intenzionato a riservare all’incoming.