by Fabrizio Condò | 12 Aprile 2023 7:00
Se pensate che guerra, muro e deserto non abbiano nulla in comune, avete sbagliato pezzo. O meglio, non avete connesso le emozioni con tre Paesi molto diversi fra loro, tre identità completamente differenti, ma con un denominatore comune: le cicatrici lasciate da una storia tortuosa e sofferta che non fanno nulla per nascondere, ma mostrano orgogliosamente al visitatore, a caccia di ricordi da riportare a casa con più passione di un semplice souvenir. Ecco, Sarajevo, Palestina e Algeria sono tre tessere di un mosaico impastato di bellezza viva, di quelli che ti restano appiccicati al cuore prima che agli occhi. Dai Balcani al Medio Oriente all’Africa, lasciamo allora che sia la vita reale a guidarci fra le strade di tre destinazioni che di banale non hanno nulla. Ma proprio nulla.
Dici Sarajevo e pensi al destino. La Gerusalemme d’Europa, ma soprattutto scintilla della Prima Guerra Mondiale e simbolo della guerra in Bosnia ed Erzegovina, per aver subito il più lungo assedio nella storia bellica della fine del XX secolo, dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996: 12.000 morti.
Eppure Sarajevo è tanto altro, dal Ponte Latino al Tunel Spasa ai ricordi delle Olimpiadi invernali del 1984, però è innegabile che in tanti vengano a visitarla per vedere le ferite della guerra nei Balcani, ammette Faruk Caluk, senior advisor di Sviluppo del turismo di Sarajevo: «Sì e sarà così ancora per tanto tempo. Ci sono molti posti che abbiamo conservato per tenere viva la memoria di un conflitto finito 28 anni fa. Ovviamente le ferite dentro di noi sono rimaste bene impresse e non vogliamo dimenticare, non possiamo dimenticare, è impossibile. Le nuove generazioni sanno ciò che è successo, ma nessuno sa cosa significa essere sopravvissuti allora dentro Sarajevo»
Qui, insomma, la storia ha bussato due volte alla porta in maniera pesante. «Ma Sarajevo ha cultura, tradizioni, è un mix di razze e religioni – nota Caluk – la nostra ricchezza è proprio questa: ogni nazione passata da qui ha lasciato un segno. La cucina, ad esempio, attinge a diverse etnie. Qui la gente vive in maniera più leggera ed è molto accogliente. Tanto è vero che è una delle mete preferite dagli italiani, da sempre nella top ten del turismo in Bosnia Erzegovina. Il Covid e la guerra russo-ucraina hanno frenato l’incoming, perché nel 2019 il nostro turismo era al top, però da qualche mese stiamo superando i numeri pre pandemia».
Storia, ferite, ricordi: un fil rouge lega Sarajevo alla Palestina, che coltiva un sogno oltre il muro, l’Israeli West Bank barrier, che per 730 km corre lungo la frontiera con la Cisgiordania, la regione che, insieme alla Striscia di Gaza, costituisce i Territori. I palestinesi lo chiamano il Muro dell’apartheid: «È una verità che tutti vogliono vedere», sottolinea Magdouline Salameh, responsabile dei rapporti con il mercato turistico italiano presso il ministero del Turismo e delle antichità.
È lei che ci accompagna alla scoperta di un mondo visto da fuori con troppi pregiudizi e poche conoscenze reali: «C’è un solo modo per cambiare idea sulla Palestina: venire qui e vedere la verità, non solo per gli aspetti legati alla fede, ma per ammirare le bellezze naturali. Tanti vengono per la prima volta qui con un’idea e immagini diverse da quelle che poi riportano quando tornano nel loro Paese». Un mondo che gli italiani apprezzano così com’è, senza filtri. «L’Italia è sempre stato un mercato importante per la Palestina: a livello di numeri, si colloca in vetta insieme a Russia, Usa, Francia, Germania e Romania. Naturalmente molti italiani vengono in pellegrinaggio a Betlemme e alla Natività, ma ora cominciano a cercare altro».
E qui torniamo al Muro: «Tanti turisti chiedono di integrarsi con la società palestinese. Anche il muro costruito da Israele è diventato un luogo di attrazione, è il segno di una passione per la nostra storia. Molti mi chiedono: “Vogliamo venire per vedere il muro”, perché emana un forte senso di spiritualità ed emozioni. E tanti vengono per dipingere sulle pietre, come l’artista e writer britannico Banksy, che ha aperto un hotel chiamato “Wall Off Hotel”, con vista proprio sul muro a Betlemme, diventato quasi un museo». La Palestina non ha un aeroporto di riferimento, quindi i turisti che desiderano visitarla hanno due possibilità: atterrare ad Amman, in Giordania, e giungere a destinazione in pullman, oppure a Tel Aviv, in Israele, ed entrare in Palestina da Gerusalemme Est o Ramallah.
Anche l’Algeria ha un muro, di sabbia però: il deserto. Fa parte del Sahara e occupa più dei quattro quinti dell’intero territorio. Un fascino ineguagliabile, spiega Mouissi Mohammed, tour operator Algeria “Adventure Mouissi”: «L’Algeria, che è otto volte l’Italia, ospita quella parte di deserto, la Tadrart rouge, considerato il più spettacolare e affascinante del mondo. È la prima cosa che un turista straniero chiede di visitare, perché è ciò che è “diverso”. È un’emozione forte, “la fine del mondo”, come si dice in lingua tuareg, perché quella è la sensazione che provi quando arrivi lì».
La crescita del turismo italiano in Algeria è stata esponenziale. «Assolutamente sì: sono i primi per flusso. io sto lavorando soprattutto con gli italiani e gli hotel sono pieni di vostri connazionali: è un bene sia per voi che per noi, perché questo crea un grande movimento dal punto di vista economico. Peraltro, da quando ci sono gli accordi fra Algeria e Italia sull’energia, la collaborazione fra i due Paesi è aumentata».
Algeria vuol dire anche Impero romano, con i resti archeologici di Timgad, l’antica Thamugadi, considerata la Pompei dell’Africa, una città quasi intatta che sembra costruita di recente. Eppure chi parla dell’Algeria sembra che si riferisca solo al passato, ignorando un presente completamente diverso: «Sì, è vero. Tutti pensano subito agli anni 90, alla Drama, la guerra civile in Algeria durata dal 1991 al 2002, o addirittura all’Algeria francese, prima della guerra di liberazione, combattuta fra il 1954 e il 1962. Il nostro, è bene che lo sappiano tutti, è un Paese libero, ricco grazie al petrolio e al gas, con grandi opportunità e stiamo lavorando per dare proprio questa immagine nuova».
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