In Italia lo scorso anno si contavano già 186 piattaforme di sharing economy, di cui 17 dedicate al turismo (dati di Collaboriamo.org e dell’università Cattolica). Si tratta di piattaforme collaborative basate sullo scambio di beni e servizi, volàno della cosiddetta economia della condivisione.
Ma per un fenomeno che cresce – potenzialmente in grado di produrre entrate a livello globale per un totale di 300 miliardi di euro entro il 2025 – c’è una giungla normativa in cui urge mettere ordine.
Il Parlamento italiano non se ne è stato con le mani in mano ed è già alle prese con la discussione di un progetto di legge presentato dalla deputata del Partito Democratico, Veronica Tentori, ma firmato da quasi tutti gli schieramenti, che proprio in questa settimana ha iniziato il suo iter nella Commissione Trasporti e Attività produttive della Camera.
La proposta (qui il documento) punta a promuovere l’economia della condivisione e le forme di consumo consapevole e al contempo a razionalizzare l’attività delle piattaforme digitali coinvolte, dando loro una cornice generale in cui muoversi. Prima di tutto censendole attraverso un Registro elettronico nazionale presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato: un modo per ordinare il caos e per dare al consumatore elementi di garanzia, creando un rapporto di fiducia con gli operatori del settore.
La proposta introduce una serie di obblighi, anche questi finalizzati a rendere trasparenti e uniformi le operazioni sulle piattaforme: come il documento di politica aziendale, che conterrà le condizioni contrattuali tra piattaforma e utenti, e la comunicazione all’Istat dei dati relativi al numero di utenti, attività svolte e relativi importi.
C’è poi il nodo della tassazione: il confine tra hobby e lavoro vero e proprio è tracciato dalla soglia di reddito pari a 10mila euro. La proposta prevede che fino a questa cifra si applichi un’imposta fissa pari al 10%; redditi superiori, invece, vengono cumulati con quelli da lavoro dipendente e autonomo e saranno quindi soggetti all’aliquota corrispondente.
Sempre alla Camera, esiste un’altra proposta di legge sulla sharing economy, firmata dal Movimento 5 Stelle e tutta centrata sulle locazioni brevi. La proposta dei pentastellati, a prima firma Daniele Pesco, delega il Governo all’introduzione di una disciplina organica delle locazioni brevi di immobili, prive del requisito dell’imprenditorialità. Anche qui l’esigenza è fare ordine in un mercato che vanta numeri in continua crescita: l’ultima rilevazione Istat, ferma al 2012, conta oltre nove milioni di presenze presso “esercizi ricettivi diversi da quelli tradizionali“.Qui il link alla proposta.