Spiagge a rischio overtourism. L’antidoto di Ejarque
C’è già chi lo ha ribattezzato over-sea-tourism, ovvero l’assalto alle località balneari italiane che nel 2023, almeno per taluni lidi, potrebbe assumere contorni critici. Secondo il portale specializzato mondobalneare.com, per esempio, su 7.500 km di coste del nostro Paese, poco più della metà sono a rischio di sovraffollamento. Di fatto la stagione estiva si gioca su quei luoghi iconici della costa che per 80 giorni su 365 all’anno devono convivere con il doppio o addirittura il triplo della popolazione che è normalmente residente durante il resto dell’anno.
Al recente summit G20 Spiagge, che si è tenuto in Sardegna, è stato rivelato che nelle 27 tra le più famose località balneari italiane si registrano almeno 70 milioni di presenze annue. E allora, che fare?
Per Josep Ejarque, titolare di FT Tourism ed esperto in destination marketing, «la gestione di una destinazione balneare per evitare il fenomeno dell’overtourism è complessa, perché il modello turistico balneare si fonda precisamente sul volume».
La stagione turistica balneare è breve, pertanto «si deve cercare la massima redditività nel minor tempo possibile, e questo significa lavorare con grandi numeri – sostiene il manager – Per fronteggiare il fenomeno dell’overtourism nelle località di mare, quindi, l’unica opzione è quella della specializzazione e focalizzazione dell’offerta degli operatori della destinazione, cioè scegliere quale tipologia di turista si desidera e quale target si può soddisfare nel migliore dei modi».
Secondo Ejarque, insomma, la logica da seguire è quella del “meno turismo, ma più redditizio”, poiché il «ritorno complessivo della destinazione è più elevato, non solo nelle strutture ricettive, ma anche nel resto dei servizi e delle attività. La specializzazione, scegliendo alcuni mercati e tralasciandone altri – e puntando soprattutto su target specifici (family, adult, lgtbq+) – permette una migliore gestione, un maggiore Destination income average rate (Diar), ma soprattutto una distribuzione spaziale dei flussi turistici».
Ma l’overtourism può penalizzare maggiormente le località balneari italiane rispetto a quelle estere? E perché?
«Bisogna ricordare che il prodotto mare in Italia ha una forte componente di mercato domestico, pertanto le proposte rispondono al gusto italiano, cioè al mix fra stabilimento balneare, ricettività e animazione in loco. In comparazione con la proposta balneare dei concorrenti, il prodotto Mare Italia è molto diverso, poiché in Spagna, Grecia e Croazia le mete hanno sviluppato proposte con più spiagge libere, docce, servizi igienici e altro gestiti non da imprenditori privati, ma dal pubblico, e senza animazione» chiosa Ejarque.
Per quanto riguarda l’offerta turistica balneare, inoltre, «i nostri concorrenti devono anche fare i conti con destinazioni di punta come Caraibi o Mar Rosso, dove l’esistenza di grandi resort facilita questo modello di offerta – aggiunge il manager FT Tourism – Per competere stanno sviluppando quindi proposte flessibili, come per esempio il Dti (Destination all inclusive), cioè un coupon-servizio, grazie al quale il cliente delle strutture ricettive può usufruire di servizi e attività dell’offerta complementare della destinazione».
Questo modello, secondo Josep Ejarque, «permette di essere attrattivi anche per il turismo internazionale, in particolare per quelli tedesco e britannico. Nel caso italiano, il prodotto mare rimane ancorato a un sistema strutturato sulle individualità dei singoli operatori, con scarsa collaborazione tra loro stessi. Diciamo, in fin dei conti, che il prodotto mare in Italia è pensato e gestito per la clientela made in Italy, senza grandi innovazioni».