Meno nascite per le startup nel turismo, ma migliori performance per quelle esistenti: è l’estrema sintesi dell’indagine annuale condotta dall’Associazione Startup Turismo, che evidenzia come rispetto al periodo della pandemia nel quale c’erano state tante nascite di nuove realtà l’ultimo anno ha registrato un minor numero di nuove costituzioni ma una migliore prestazione delle startup esistenti.
Il consolidamento è confermato anche dagli investimenti raccolti, quest’anno più del doppio rispetto al 2021. A conti fatti questi risultati mostrano aziende che hanno performato bene e alle quali gli investitori hanno rivolto risorse con maggiore certezza. Complessivamente erano 91 gli investimenti registrati nella Survey 2021, mentre per l’edizione 2022 ne sono stati riportati 51 ma con maggior valore.
L’indagine dell’associazione registra anche alcune interessanti variazioni nella fonte dei finanziamenti: sono in crescita i fondi di investimento, ora il 40% di tutti i capitali raccolti dalle startup insieme ai business angel, con una media, rispettivamente, di 467mila euro e 265mila euro per round. Il 12% proviene da banche (debito) con una media di 141mila euro per round. Solo il 2% dei capitali raccolti proviene da incubatori e acceleratori; nel turismo manca, per altro, un acceleratore specializzato.
«La finanza pubblica – rileva Karin Venneri, presidente dell’Associazione Startup Turismo – è di vitale importanza ma i bandi a sportello, strutturati seconda la logica first in, best in rischiano di premiare chi è più veloce o più strutturato per rispondere ai documenti del bando e non necessariamente i più meritevoli. Mentre tra gli investitori istituzionali diamo atto a CdP di aver iniziato un efficace processo di rilancio generale per il comparto».
Nel dettaglio poi, l’indagine rileva che il 68% delle startup del turismo è iscritto al registro delle startup innovative. Mentre le agevolazioni più conosciute e utilizzate sono quelle fiscali per gli investitori, l’accesso al fondo di garanzia e l’estensione del rinvio a nuovo delle perdite.
Riguardo poi alla distribuzione geografica e al processo di internazionalizzazione, la survey dell’associazione evidenzia una forte polarizzazione nella distribuzione geografica delle startup: la Lombardia ospita oltre un terzo delle startup italiane del travel (36%), seguita dal Lazio con 12% e al 9% da Toscana, Veneto e la Campania, outsider del sud.
«Noi ci adoperiamo per creare ponti che agevolino l’apertura verso l’estero – osserva Venneri – Ma, un po’ spiace dirlo, le startup italiane si mostrano in gran parte troppo timide pur non avendo niente da invidiare ai colleghi di altri Paesi, sia in termini di modello sia di inventiva».
Di particolare interesse le conseguenze da “long Covid” che hanno influenzato l’attività delle startup: tra le problematiche avvertite poco o per niente figurano logistica, sicurezza sanitaria e lavoro da remoto. Mentre la mancanza di liquidità e il rapporto con i fornitori sono considerate unadifficoltà da quasi la metà delle startup.
Inoltre, l’indagine riporta anche un’interessante anagrafica sul cosa offrono le startup nel turismo: il 73% offre prevalentemente servizi alle aziende, solo l’8% offre principalmente prodotti.
E ancora il 21% delle startup si occupa di marketplace, il 16% è experience provider e il 15% di tour operating.
Infine, interessante l’età media dei founder, che è tra 35 e 45 anni per il 50% delle startup mentre non ci sono (0%) giovanissimi under 25.