by Andrea Lovelock | 11 Aprile 2017 13:48
Nel tour operating italiano, piccolo è sempre più bello. La conferma contabile arriva dall’analisi compiuta di Pierluigi Fiorentino, consulente in Konta (Gruppo Dolphin), con una lunga esperienza in Fiavet e poi in Fto. Sotto la lente d’ingrandimento di Fiorentino 61 bilanci dei t.o. che hanno depositato i loro conti presso le Camere di Commercio italiane, con un valore di produzione pari a circa 6,8 miliardi di euro, tra cui figurano i quattro big italiani – Costa Crociere, Alpitour, Eden Viaggi e Veratour – che da soli vantano oltre il 70% di quota-mercato nell’organizzazione dei viaggi.
La disamina dei conti, alla Bit di Milano, ha fatto emergere che, negli ultimi due anni, lo stato di salute del tour operating è risultato buono solo per i quattro colossi e per la miriade di micro-operatori che non superano 15 milioni di euro di fatturato. Nel frattempo, hanno sofferto molto e continuano a subire contrazioni nel business quel gruppo di t.o. che ha un giro d’affari tra i 15 e i 30 milioni di euro, vale a dire il tour operator di fascia media, talvolta generalista, fortemente penalizzato dalla crisi di destinazioni popolari come Egitto e Tunisia che non hanno avuto né modo, né soldi, per riconvertire le loro programmazioni. Un’analisi rigorosa, quella di Fiorentino, che impone delle risposte.
«Per reagire a certe distorsioni – ha spiegato il consulente fiscale – si deve intervenire sia sui costi variabili, come ad esempio la produzione di servizi che esige un’attenta programmazione delle spese, e su quelli fissi, primo fra tutti quello del personale che incide ancora tanto. Così come si dovrebbe essere molto cauti nel ricorso ai finanziamenti a medio termine. Ma in generale, ci sono anche buone notizie date da un discreto indice di liquidità mostrato dal comparto».
Altro fenomeno che caratterizza oggi l’attività dei tour operator italiani è la delocalizzazione adottata da t.o. per ridurre certi costi: si scelgono Svizzera, Montenegro, Croazia e Bosnia che hanno regimi fiscali diversi, decisamente più favorevoli e con minori adempimenti burocratici.
«A ben vedere – riflette Pierluigi Fiorentino – nell’Italia della produzione di viaggi organizzati l’anomalia è una prassi: basti pensare che il settore opera in un ambito dove la sottopatrimonializzazione ha quasi sempre caratterizzato gran parte delle imprese e questo, soprattutto all’insorgere di crisi come quelle dell’Egitto e della Tunisia, core business di alcuni t.o., si paga in termini di marginalità».
Di certo il mercato premia l’imprenditoria più avveduta. Un esempio su tutti è quello di Veratour, con il suo patron Carlo Pompili: «La nostra è una azienda familiare, nel puro senso della parola – ha detto durante il convegno in Bit – Ho la fortuna di avere dei figli con la mia stessa passione per questo lavoro e abbiamo sempre compiuto i passi giusti, a seconda delle reali possibilità, puntando su quello che doveva essere il nostro prodotto, ovvero il villaggio. Specializzandoci in questo segmento abbiamo sviluppo il business in modo sempre corretto e trasparente con i proprietari di strutture, che sono poi diventati nostri villaggi, e reinventando prodotti nei momenti di grave crisi come quella che ha investito Egitto e Tunisia».
Risultato? «Negli ultimi anni abbiamo aperto altri otto villaggi, muovendoci su Italia, Grecia, Spagna e altre aree del mondo – ha sottolineato Pompili – E l’Egitto che nel 2010 rappresentava il 35% del market share è sceso al 3,5%, ma senza incidere sui nostri bilanci». Altra strategia perseguita da Veratour è stata una precisa scelta manageriale: «Pochi dirigenti e tanti uomini quadro, capi-settori, spesso fidelizzati da anni che operano per vedere crescere il t.o. Per il resto basta avere bravi e corretti contabili».
Ma la case-history di Veratour è davvero l’eccezione che conferma la regola di un tour operating fin troppo anomalo che viaggia a due velocità. Un mercato sul quale grava l’incognita del futuro tutto legato al web.
Massimo Caravita, vice presidente del network Marsupio (350 agenzie), ha detto a chiare lettere che ormai «esiste una polarizzazione, con una separazione netta tra chi ha il prodotto (dal volo all’alloggio, dalle crociere al resort) e chi, senza prodotto, sta cercando di stare al passo e presidiare il mercato assemblando una serie di servizi. Alcuni fornitori, poi, si sono reinventati e hanno iniziato a realizzare portali dove c’è una variegata gamma di opzioni e combinazioni. Nel mezzo rimangono certi operatori generalisti che fanno fatica a rimanere in adeguate dimensioni e sono quindi costretti a ridurre il proprio carnet d’offerta».
Un mercato assai variegato, dove ha fatto irruzione la figura delle Olta «con player giganti come Expedia che ormai stanno diventando sempre più tour operator online». A rendere ancor più complicato lo scenario, conclude Caravita «c’è l’emergere del self made traveller, con le destinazioni che vengono pacchettizzate dal cliente stesso».
Su tutto rimane la grossa incognita delle regole: non ci si può dimenticare, infatti, che laddove un adv assembla servizi, pacchettizzando anche se in modo semplificato, diventa comunque garante di quel pacchetto e pertanto si deve tutelare dagli obblighi di legge, soprattutto alla luce della nuova direttiva Ue.
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