by Serena Martucci | 10 Ottobre 2024 11:40
Il Grande Carro non è mai stato così luminoso. Non so esattamente da quanto tempo sono qui a fissarlo. Intorno è buio pesto, ma posso sentire forte il vento scuotere gli alberi e la tela della tenda dove dormirò stanotte. Il verso di una iena rieccheggia in lontananza. Sono nel cuore dell’Africa, in uno dei luoghi sacri del safari. Proprio io, che in Italia mi tengo a debita distanza perfino dai gatti. Eppure qui ho scoperto che la natura è casa, che la magia della savana non lascia mai indifferenti, che i sorrisi possono essere grandissimi e che a volte può bastarne anche solamente uno per commuoverti come non era mai successo prima.
Il tour, organizzato da Quality Group – il Diamante, parte da Arusha ai piedi del gigantesco Kilimanjaro. Saliamo a bordo di un Cessna gui- dato da Ali, 26 anni e una passione infinita per gli aerei. Il passaggio aereo per Ikoma dura un’ora e sorvola paesaggi mozzafiato: lande sconfinate, fiumi color argento, la bocca di un vulcano che fa capolino tra le nuvole. Atterriamo in uno spiazzale verde tra la terra rossa, mentre a pochi chilometri da noi mandrie di gnu corrono veloci come in una sorta di danza. Sulla pista ci aspetta un fuoristrada aperto, pronto per il nostro game drive a Grumeti, un’area poco fuori il parco del Serengeti, habitat ideale per molte specie di fauna selvatica.
Ed ecco la novità. «Le auto che useremo per il nostro safari sono completamente elettriche», ci spiega Denis Lebouteux, fondatore e ceo di Tanganyka Expeditions, un’azienda che proprio qui nel cuore dell’Africa ha deciso di investire sul green e la sostenibilità. «Abbiamo di fatto sostituito i vecchi motori a gasolio dei pick up e dei fuoristrada per trasformarli in veicoli alimentati con batterie elettriche – aggiunge orgoglioso – Anche per i lodge e i glamping dove accogliamo i nostri ospiti utilizziamo i pannelli solari per fornire elettricità, mentre per l’acqua adoperiamo delle enormi cisterne per raccogliere quella piovana che viene depurata».
E il risultato, in effetti, lascia di stucco. Il nostro fuoristrada si infila agevolmente tra cespugli di erba e sassi. Intorno nessun rumore, solo quello assordante della natura. Così viaggiando con il “silenziatore” incrociamo prima una famiglia numerosa di elefanti, con tanto di piccoli al seguito, sorprendiamo due eleganti giraffe a brucare i ramoscelli di acacia, incontriamo un gruppo di babbuini che giocano a rincorrersi ma soprattutto riusciamo ad avvicinarci a un branco di leoni che riposa all’ombra di un albero. L’emozione è incredibile. Sono lì a pochi metri, posso quasi toccarli.
Formano un cerchio, le leonesse intorno e, lui, il re dei predatori, al centro. Possente, impassibile, con la sua folta criniera. Il fuoristrada si ferma e loro quasi non si accorgono che siamo lì. Una leonessa annoiata si gira sulla schiena, gioca con le zampe all’insù, viene voglia di accarezzarla. È così vicina che posso sentirne il respiro. «Fino a quando restate sulle jeep non c’è nessun problema – ci tranquillizza la nostra guida – gli animali sono abituati a questi veicoli. Ma non bisogna scendere da qui». Basta un flebile ruggito per convincerci subito. Durante il viaggio incontriamo anche dei gruppi di zebre, facoceri, antilopi di tutte le grandezze.
La guida condivide con noi storie e curiosità su ognuno di loro. Scopro così che l’elefante odia il rumore, che la lingua della giraffa può arrivare a quarantadue centimetri di lunghezza, che la zebra ha le strisce anche per confondere meglio i nemici mentre scappa. Ci spiega ancora delle migrazioni, del delicato equilibrio tra ecosistema e cambi climatici, della lotta per la sopravvivenza di tante specie. La bellezza del cosmo è disarmante, e mi rendo conto di quanto sia fondamentale proteggerlo.
Arriviamo in serata alla nostra struttura, il Grumeti Hills. Si trova sulla parte più alta di un colle isolato in mezzo alla prateria. La vista da quassù è unica. Le tende (20 in tutto) sono ampie e confortevoli, con bagno interno e doccia in pietra, gli arredi in legno, cuscini colorati. Non sono sfarzose, ma di alto livello e soprattutto attraverso le aperture a retina della tela ci si addormenta e ci si risveglia con lo sguardo infinito sulla savana.
Al Grumeti Hills viene offerto anche un pacchetto che include una cena nel “bush”, con tanto di tavola imbandita accanto a un fuoco acceso per tenere a distanza gli animali selvatici, e un walking safari da fare all’alba, scortati da un ranger, che dal campo tendato conduce alle sponde del fiume Grumeti. Ci arriviamo dopo aver imparato tutto sugli usi e costumi delle termiti, aver scoperto che gli elefanti riconoscono l’odore del loro cucciolo per ben 25 anni, che non bisogna temere gli animali, tranne i bufali solitari. «Gli esemplari maschi quando invecchiano vengono allontanati dal gruppo per far spazio ai giovani», ci spiega Queen, la nostra giovanissima guida. Ha 24 anni ma riesce a distinguere anche di notte le varie sagome delle belve. «A quel punto il bufalo diventa rancoroso, come se non avesse più nulla da perdere, e comincia a dare di matto. Insomma, mai girare le spalle a un bufalo quando è solo». Sulle rive del fiume Grumeti ci aspetta una ricca colazione continentale a base di french toast, frutta fresca, crêpes e uova strapazzate. Mangiamo lì, accarezzati dal sole, mentre sulla sponda opposta dei coccodrilli dormono beati.
Lasciamo l’area del Grumeti per entrare nel cuore del Serengeti, che in lingua masai vuol dire “pianura sconfinata”. Il parco, grande quanto Taiwan, ha una superficie di oltre 14mila chilometri quadrati ed è uno dei posti più iconici del mondo, famoso per la sua vasta savana, i fiumi e le piane. Il parco nazionale nel 1981 è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco ed è stato nominato una delle sette meraviglie naturali dell’Africa. È il teatro della Grande Migrazione, dove milioni di gnu e zebre si spostano in cerca di pascoli freschi e acqua. La varietà di fauna è straordinaria: oltre ai “big five”, il Serengeti ospita anche più di 500 specie di uccelli, rendendolo un paradiso per gli amanti del birdwatching. Lo attraversiamo con gli occhi incollati al binocolo, avanzando sulla nostra silenziosa jeep.
A differenza delle altre riserve, nel Serengeti non è consentito guidare fuori dal sentiero principale, quindi è facile ritrovarsi in fila con altri fuoristrada appena una giraffa o un ippopotamo compaiono all’orizzonte. Ma il parco è così immenso e selvaggio, che puoi ritrovarti, anche senza volerlo, a quattrocchi con un gatto selvatico.
Lungo il percorso ci fermiamo al Togoro Plains, un lodge aperto nel 2023, conosciuto anche come “la tana dei leoni”. Accoglie 14 tende ed è molto amato dai felini che adorano sdraiarsi sulle cime delle rocce tra il bar, il ristorante e i bagni pubblici. «Può capitare che un leone passeggi in veranda mentre gli ospiti fanno colazione – spiega la manager della struttura- Di giorno si può uscire tranquillamente, ma una volta calata la sera i clienti devono essere scortati per tornare nelle tende.
Per qualsiasi necessità possono chiamarci schiacciando un pulsante rosso che ogni stanza ha in dotazione. Non abbiamo recinzioni, ma abbiamo i ranger e i masai che sorvegliano il campo tutta la notte». Solo poco tempo prima del nostro arrivo, cinque leoni avevano attaccato un bufalo proprio nella spianata di fronte. «Per cinque giorni si sono divisi i resti. Poi sono andati via».
Arriviamo al tramonto all’Olduvai Camp. Abbiamo già sconfinato nell’area del Ngorongoro, culla della civiltà masai. Il paesaggio è lunare: le 17 tende sembrano mimetizzarsi tra gli enormi massi di granito, qui chiamati Kopjes. I colori dell’arredamento sono delle tonalità della terra, il grande braciere con il fuoco sempre acceso, i masai pro- teggono gli accessi alle tende con le loro lance. Intorno, la pace.
Dopo aver esplorato il Serengeti, ci dirigiamo verso la caldera del Ngorongoro, una delle meraviglie naturali del pianeta. Con le batterie della jeep cariche ci arrampichiamo fino ai 3mila metri di altezza, dove si trova la corona, zigzagando tra laghi e arbusti. Il cratere vulcanico, che si è formato milioni di anni fa, è un ecosistema unico e protetto, con una superficie di circa 260 chilometri quadrati. È la più grande caldera intatta del mondo: profonda 610 metri, ospita oltre 25mila grandi animali, tra cui gli ultimi rinoceronti neri. Le sue ripide pareti e la lava fertile hanno creato un ambiente isolato, un piccolo angolo di paradiso dove vivono numerose specie: bufali, gnu, leoni, elefanti, uccelli coloratissimi, ma soprat- tutto il mitico rinoceronte nero, purtroppo in via di estinzione. Trascorriamo l’intera mattinata cercando di avvistarlo, ma del rinoceronte nep- pure l’ombra. Poco importa.
La densità di fauna selvatica è sorprendente e ogni incontro è un momento fatato. Verso l’ora di pranzo, con gli occhi ancora pieni di tanto incanto, ci godiamo un picnic panoramico nel centro del cratere, circondati da una bellezza indescrivibile. Dimentichiamo perfino i sobbalzi della lunga e dissestata strada che ci ha portato in questo luogo senza tempo. I colori del cielo si mescola- no in sfumature di azzurro, bianco e rosa mai vi- sto. È un ricordo che porterò con me per sempre.
L’ultimo giorno rientriamo verso Arusha, nel nord-est del Paese, dove un aereo Ethiopian ci riporterà a Fiumicino. Sulla strada incrociamo dei villaggi masai, case con mattoni di fango. I bam- bini si lanciano verso il fuoristrada con le mani e gli occhi spalancati urlando “jambo”, che vuol di- re ciao. Oggi so che un viaggio in Tanzania è mol- to più di un semplice tour: è un’immersione nell’anima della natura, un’opportunità per riconnettersi con il mondo, una poesia. Ogni in- contro, ogni tramonto, ogni esperienza, perfino il dividere la tenda con un pipistrello “abusivo” re- gala una nuova consapevolezza: l’importanza di preservare questi luoghi. Ci sono i viaggi, e poi ci sono le scoperte. L’Africa è una di queste.
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