by Stanislao De Marsanich | 13 Marzo 2017 7:00
Oltre 110 eventi hanno accolto gli 11.500 visitatori nei 226 spazi espositivi della 25 edizione di Tipicità conclusa a Fermo il 6 marzo scorso.
Un’edizione speciale che ha mostrato l’energia «delle Marche che rinascono – ha dichiarato il direttore Angelo Serri – un incredibile sfoggio di qualità, visione, creatività, voglia di presentarsi al mondo con ancor maggior forza».
La conferenza di inaugurazione ha mostrato da subito l’eccezionalità di questo appuntamento. Non solo uno strumento di marketing territoriale, ma un’idea che si rinnova di continuo per favorire l’intesa tra produttori e consumatori con il mondo accademico italiano e straniero.
Rappresentanti di Cina, Russia, Moldova, Emirati Arabi Uniti hanno proiettato oltreconfine un concetto di imprenditorialità diffusa e innovativa capace di rigenerarsi anche e soprattutto in momenti di grande difficoltà. L’ombra del terremoto era presente, ma è emerso l’entusiasmo del pubblico di fronte a coloro che affrontano la crisi come momento di rimodulazione e rilancio di una filiera che comprende tutti i campi della produzione di qualità delle Marche.
«Sono fiero di avere scelto tempo fa il nome di Matteo per presentarmi in Italia», ci ha confidato Qingle Hu della Hunan University, rappresentante della cinese Agricolture Investment Ltd; un nome evocativo che nel ricordo del gesuita Matteo Ricci continua a fare delle Marche una finestra straordinaria sul resto del mondo. Un’immagine che nelle stesse ore veniva rafforzata nella sede dell’Ambasciata Italiana a Oslo con l’apertura di percorsi letterari nella Capitale norvegese dedicati al poeta di Fermo, Luigi Di Ruscio.
Ed è proprio l’infaticabile sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro, a sottolineare come in questi mesi la solidarietà tra le filiere produttive sia stata la piattaforma da cui ripartire. Al centro degli oltre 10mila mq del Fermo Forum, la provocatoria zona rossa riservata agli chef delle zone colpite dal sisma, rimasti senza ristorante, amplifica il messaggio raccolto e diffuso da personaggi come Michele Mirabella e Klaus Davi. E ancora prestigiosi chef quali Ciccio Sultano, due stelle Michelin, e il cuoco della Regina Elisabetta, Enrico Derflingher.
Nei mesi che hanno preceduto la manifestazione, l’organizzazione di Tipicità con il Grand Tour delle Marche ha creato un valore aggiunto ulteriore rispetto a questo tema. Una politica di sviluppo territoriale con basi più solide «per arginare la desertificazione dei piccoli centri e delle campagne più remote, spesso custodi di tradizioni e prodotti di nicchia unici e irripetibili», ha sintetizzato Alberto Monachesi – organizzatore del festival – nel corso della cerimonia che ha accolto il suggestivo centro di Torre di Palme tra i Borghi più Belli d’Italia.
E così il Gran Tour ci ha accompagnati a comprendere le tecniche all’avanguardia delle aziende della famiglia Lardini, maestri della tradizione sartoriale, il Made in Italy conosciuto e apprezzato in ogni Continente (550 punti vendita in Europa Giappone, Corea, Russia, Cina e Usa). Così come le tecniche tradizionali, ma ancora innovative, per la produzione delle fisarmoniche nella deliziosa Castelfidardo; strumenti estremamente complessi che accompagnavano ieri i nostri emigranti sui ponti dei transatlantici e sono oggi richiesti in ogni angolo del pianeta.
Ancora oggi il misterioso manto della Fata Sibilla cela la produzione vitivinicola di nicchia di Poderi dei Colli, il cui Marche rosso Rigò e l’Ethos Offida Pecorino sono richiestissimi dal Nord Europa, ai Caraibi fino agli Emirati. E non è un caso che il primo enologo della modernità fosse proprio marchigiano, di Sant’Elpidio al Mare. Nel De naturaliu vinorum historia, già nel 1596 Andrea Bacci, non solo anticipa di quasi 120 anni Dom Perignon sull’origine e la storia dello spumante (“un vino – del Piceno – di media sostanza, dorato tendente al fulvo, con profumo di muschio con bollicine che con grande piacevolezza saltellano dal bicchiere”), ma elenca e descrive gli oltre 900 vini delle regioni italiane.
Forse ispirato anche dalle bollicine picene, Guido Piovene scriverà poi nel 1957 che, se l’Italia è il distillato del mondo, le Marche lo sono dell’Italia.
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