Da un mese – da domenica 8 marzo per l’esattezza – il Museo Egizio di Torino è chiuso al pubblico per disposizione del dpcm che attua le misure restrittive per contrastare la diffusione del coronavirus. Restano al buio mummie e sarcofagi. Una chiusura che si traduce in una perdita di 34mila euro al giorno.
All’interno dell’edificio ci sono due squadre di tecnici e studiosi curano e monitorano costantemente i reperti vecchi 3.000 anni. Hanno infatti il compito di assicurarsi che la percentuale di umidità si mantenga costante, in modo da non rovinare i tessuti o le superfici dei 40mila pezzi custoditi.
La collezione del Museo Egizio va protetta 24 ore al giorno, è una macchina che non si può fermare, pena la compromissione di un intero patrimonio. Questa manutenzione costante ha alti costi ed è difficilmente gestibile in un momento di zero incassi, ancor di più trattandosi di un museo privato che non percepisce fondi pubblici.
Il museo, che per valore e quantità di reperti è il secondo più importante al mondo dopo quello de Il Cairo, finora si è mantenuto da solo, ma rischia di esaurire a breve le risorse. «È impossibile stare dietro a queste perdite da soli ma l’ultima cosa che vogliamo fare è consegnare le chiavi», ha dichiarato il direttore Christian Greco al quotidiano La Stampa.
Sono al vaglio nuove soluzioni all’emergenza e si discute di quali potranno essere le modalità di riapertura con l’arrivo della fase 2, come la possibilità di misurazione della temperatura all’ingresso o le mascherine in dotazione insieme al biglietto. Quello che però chiedono nell’immediato dal museo è un aiuto esterno a tutela di un patrimonio dal valore inestimabile.