Travel, sindaci e cittadini:
tutti contro l’overtourism
Questa non è Ibiza. E neanche Palma di Maiorca, dove si profila un’estate più rovente del solito, con gli abitanti che minacciano di occupare spiagge e aeroporto in segno di protesta contro l’overtourism. Che anche a queste latitudini non fa felici i residenti, figuriamoci quelli delle più note località balneari italiane, oltre a chi vive nelle città invase dai turisti: vedi Venezia, dove dal 25 aprile vige, in via sperimentale, la legge del ticket giornaliero da 5 euro. Laguna a pagamento, quindi, ma avanti di questo passo anche farsi un bagno diventerà sempre più caro ed esclusivo.
L’insofferenza verso il sovraffollamento selvaggio, infatti, ha indotto da tempo la Sardegna ad adottare regole sempre più stringenti per limitare l’assalto dei turisti. Qualche esempio. Non tutti possono godersi la meravigliosa spiaggia di Punta Molentis, perché il Comune di Villasimius ha fissato un tetto massimo di 600 persone al giorno fino al 31 ottobre, al costo di un euro a testa, oltre a una tariffa di 10 euro per il parcheggio, che può ospitare non più di 200 veicoli.
Solo 1.500 i bagnanti ammessi nella famosa spiaggia de La Pelosa a Stintino: 3,50 euro a persona, parcheggio a 2 euro l’ora. A Cala Brandinchi e Lu Impostu, perle del Comune di San Teodoro, trovano posto, rispettivamente, 1.447 e 3.352 “ospiti”: il ticket è di 2 e 2,50 euro. Scendiamo a Baunei, nell’Ogliastra, il mare più bello d’Italia secondo Legambiente e Touring Club: a 250 scatta il sold out a Goloritzè, dove si pagano 6 euro per percorrere a piedi il sentiero assistito – unica via verso il mare – e parcheggiare in cima. E ora ingresso contingentato anche a Le Piscine a Cannigione, Cala Luna a Nuoro e Rena Bianca a Santa Teresa Gallura.
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Se pensate che sia esagerato, provate a dare un’occhiata ai prezzi di Paraggi, definita la spiaggia più cara della Liguria e d’Italia: in piena estate per una coppia di lettini ci vogliono dai 150 ai 500 euro al giorno, una cabina va dai 12 ai 30.000 euro per tutta la stagione. Sì, avete letto bene.
Insomma, c’è chi la battaglia per “sopravvivere” all’overtourism l’ha già cominciata, chi da tempo ha lanciato l’allarme e invoca misure precise e chi, invece, chiede di proteggere la popolazione, ormai assediata da eserciti di turisti e costretta ad arretrare a difesa del proprio perimetro. Un destino che accomuna sempre più spesso amministrazioni comunali e cittadini.
IL GRIDO DELLE CINQUE TERRE
Una doppia strategia: un piano di regolazione dei flussi nelle Cinque Terre e un nuovo sviluppo sostenibile del territorio. Fabrizia Pecunia, sindaco di Riomaggiore, lo ripete fino allo sfinimento e fa bene. Perché conosce benissimo gli effetti dell’overtourism – «anche se io preferisco definirlo sovraffollamento», precisa – su una delle zone più suggestive della Penisola. «Dobbiamo trovare la quadra con tutte le istituzioni, a partire dalla Regione Liguria, per uno sviluppo sostenibile del territorio ad hoc».
«Gestire il flusso turistico, e il nostro si aggira, globalmente, sui 4 milioni, significa fare scelte precise e avere una visione – spiega il sindaco – altrimenti rischiamo di morire di turismo e questo non ce lo possiamo permettere. Dobbiamo lavorare sulle prenotazioni, soprattutto sul biglietto del treno, ed evitare che i turisti ristagnino nelle zone “da cartolina”, promuovendo esperienze di qualità nelle aree meno visitate. Dobbiamo migliorare l’offerta e puntare sulla destagionalizzazione». Da luglio, inoltre, sarà di nuovo accessibile la Via dell’Amore, che dovrà essere un museo a cielo aperto da includere nel circuito delle Cinque Terre Card, che comprende l’ingresso anche al Parco nazionale».
E pochi giorni fa assist in chiave sostenibilità da parte del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, che ha approvato il Disciplinare integrativo 2024 dell’Area marina protetta del Parco stesso. Una zona di tutela speciale, la prima in Italia, consentirà a partire dal 2025 la navigazione solo in elettrico in alcune aree minacciate dall’inquinamento acustico subacqueo.
Per rendere vivibili le Cinque Terre senza rinunciare al turismo bisogna analizzare i numeri: «Vanno valutati, per cui è importante un tavolo di monitoraggio della Regione Liguria, ma serve soprattutto un’analisi preventiva. Utile fare uno screen di parcheggi, autobus disponibili, ma è necessario prevedere i flussi in arrivo, in base ai dati in nostro possesso e sintetizzati dalla Regione. Vogliamo capire quanti gruppi vengono a visitare le Cinque Terre e chi sono i tour operator che lavorano nella nostra zona. Poi possiamo anche pensare a un eventuale ticket aggiuntivo per le comitive».
In sostanza, per trasformare l’overtourism in un’opportunità c’è bisogno di «un piano di gestione dei flussi e di una strategia che punti sulla destinazione culturale al posto di mare e selfie», sottolinea il sindaco, che al momento opportuno gioca l’asso nella manica: «Riomaggiore e Manarola subiscono un turismo che crea disagi al territorio e potrebbe incidere sulla perdita di valore e di attrattività della destinazione. Per far fronte a questa sfida abbiamo affidato la realizzazione di un Piano di destination management, cioè un approccio strategico alla gestione dei flussi, alla società di consulenza FTourism & Marketing di Josep Ejarque, già impegnata su destinazioni note per la loro complessità turistica, come Roma, Ischia, Cortina e Amalfi».
AMALFI, SI PUÒ FARE DI PIÙ
Dici Ejarque e Amalfi e ci spostiamo in Costiera. La bandiera della Repubblica Marinara sventola con orgoglio sul Duomo, mentre la scalinata si srotola verso l’omonima piazza, a due passi da Piazza Municipio, cuore di un gioiello ammirato in tutto il mondo e punto di ritrovo dei turisti, oltre al lungomare naturalmente. Qui l’ospitalità è una tradizione, ma c’è un limite a tutto, sbuffano i residenti, che si sentono soffocati dall’abbraccio tentacolare dei visitatori.
E allora raccogliamo l’appello di chi conosce Amalfi come le proprie tasche: Lorenza (nome di fantasia), impiegata in pensione, ci guida negli storici vicoli che, esordisce così, «sono un’attrazione per i turisti, ma vengono imbrattati e trasformati in depositi di rifiuti, tra panini, cartacce e bicchieri di sorbetto abbandonati. E le strade principali non stanno meglio». Come biglietto da visita anti overtourism non c’è male: «Ad Amalfi stiamo bene per un mese, a febbraio, poi ricomincia la girandola di turisti e dalle 9 alle 19 la città è invivibile».
L’amministrazione comunale non interviene per tutelarvi? «Potrebbe fare di più, anche dal punto di vista della mobilità. I traghetti sono talmente pieni a ogni ora del giorno, che non si riesce a viaggiare e noi restiamo bloccati da tutti e quattro i lati: Vietri, Ravello, Pogerola e Positano». Sembra un manuale al contrario: come vivere a casa senza poter respirare: «È la verità. In alcuni momenti mi sento soffocata per strada. Così, per fare la spesa esco la mattina presto, poi mi tappo in casa».
Guai però a parlare di xenofobia, anzi: «Io ho un rapporto bellissimo con gli stranieri che vengono in vacanza ad Amalfi: mi dicono che sono fortunata a vivere qui. La Repubblica – la chiama così – ha un grande vissuto di ospitalità, è un’arte».
A furia di parlare di overtourism, finisce che ci dimentichiamo del mare, ma anche in questo caso ci sono dolenti note: roba da “ricchi”, vista la scarsa offerta per via della costa rocciosa che riduce le spiagge praticabili a poche centinaia di metri. «I prezzi sono altissimi, come nelle altre località della Costiera: in estate si arriva a pagare anche 2.000 euro per due lettini e un ombrellone in abbonamento. E il turista sborsa 60 euro al giorno per una giornata al mare. Selfie d’ordinanza incluso, ma doccia e cibo a parte, si intende. Ad Amalfi, poi, come in tutta Italia, c’è la grana delle concessioni balneari: gli stabilimenti hanno avuto la proroga fino a novembre, in attesa del verdetto».
UNA SOLUZIONE C’È
Scaglionare le vacanze. L’overtourism si argina anche così, suggerisce Dante Colitta, direttore network di Welcome Travel Group. «Lo so, è complicato – ammette – specie pensando al nord, che a inizio agosto si svuota. D’altronde in fabbriche e uffici, per la maggior parte, le ferie sono concentrate in quel periodo». E allora qual è la soluzione, vista da un addetto ai lavori? «L’ideale, per chi può, è scegliere maggio o giugno, quando peraltro i prezzi sono più bassi. Diciamo la verità: per gli italiani è anche un fatto di mentalità andare in ferie ad agosto.
Qualcosa si muove però: «È vero. Qualche società favorisce le vacanze dei dipendenti, grazie ai welfare aziendali, ma non ad agosto. Ecco, servirebbero incentivi, o meglio un lavoro di cosharing tra istituzioni, aziende e operatori. Se lo Stato aiutasse le imprese a mandare i dipendenti in ferie in altri periodi si risolverebbe, almeno in parte, l’overtourism e si favorirebbe anche l’industria turistica».
Insomma, la parola magica è sempre la solita: «Destagionalizzare», mantra anche del ministro del Turismo, Daniela Santanchè. «Bisogna fare copia e incolla degli altri Paesi europei, dove non vanno tutti in vacanza nello stesso periodo. Intendiamoci, non si può obbligare nessuno a seguire un itinerario preciso, però, lo ribadisco: se lo Stato non interverrà, difficilmente usciremo dall’equivoco, senza considerare che nel periodo clou delle vacanze i prezzi si alzano. Per tutti».
E il circolo vizioso non si interrompe: «Naturalmente. Tra Covid prima, guerre, caro prezzi e climate change poi c’è poco da stare allegri anche se, nonostante le difficoltà del ceto medio, il travel è ripartito. È anche vero, però, che il mare Italia, per quanto mi riguarda, è proprio fermo. C’è da riflettere». Altro che Ibiza.
Giornalista professionista, innamorato del suo lavoro, appassionato di Storia, Lettura, Cinema, Sport, Turismo e Viaggi. Inviato ai Giochi di Atene 2004
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