by Andrea Lovelock | 23 Dicembre 2020 10:52
Nonostante ripetuti appelli, periodiche rendicontazioni sull’entità dei danni subiti da tutta la filiera del turismo e dei trasporti, le organizzazioni internazionali più prestigiose – dall’Unwto alla Iata, dal Wttc all’Ectaa – si trovano in una sorta di sospensione di giudizio in doppia veste di accusatori e imputati.
Come “parte civile” nei confronti dei loro interlocutori politici ai quali hanno ripetutamente rivolto le istanze del settore, ma al tempo stesso devono difendersi da chi rimprovera loro una scarsa capacità di azioni concrete e nonostante un’autorevolezza conquistata negli anni, un basso indice di ascolto. Fatto sta che dallo scoppio della pandemia si sovrappongono appelli, studi, monitoraggi e manifesti a sostegno del settore, non sempre ascoltati.
A metà novembre, quindi agli inizi della seconda ondata del virus in Europa, l’Unwto – dopo aver lanciato 30 progetti innovativi “Hospitality Challenge” con altrettante borse di studio dedicate ad accelerare lo sviluppo personale di individui di talento che costruiranno l’ospitalità di domani – ha diramato i suoi barometri periodici.
I resoconti statistici quest’anno hanno assunto la forma di veri e propri bollettini di guerra: meno 900 milioni di turisti internazionali tra gennaio e ottobre rispetto al medesimo periodo del 2019 ed una perdita di 935 miliardi di dollari in entrate internazionali turistiche, più di dieci volte la perdita nel 2009 avuta per l’impatto della crisi economica globale.
Il segretario generale Unwto, Zurab Pololikashvili, a inizio dicembre ha poi chiesto un approccio coordinato per allentare e revocare le restrizioni sui viaggi, con regole chiare e coerenti tra i Paesi per ripristinare la fiducia e la fattibilità nei viaggi internazionali. Lo scenario 2021-24 presentato dall’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per il turismo indica un rimbalzo entro la seconda metà del nuovo anno. Tuttavia, un ritorno ai livelli del 2019 in termini di arrivi internazionali richiederà almeno tra i due anni e mezzo e i quattro anni.
Valutazioni analoghe sono state già espresse anche dall’Ectaa (European Council of Travel Agencies Association), che alcuni giorni fa, ha ribadito con enfasi i disastrosi effetti della pandemia sul turismo organizzato, con un fatturato globale che è passato da 175 miliardi di euro del 2019 a meno di 40 miliardi che saranno il consuntivo del 2020. L’associazione ha poi aggiunto una specifica denuncia nei confronti dei fornitori di servizio, in particolare le compagnie aeree, colpevoli di non aver versato rimborsi per oltre 7 miliardi di euro. Una denuncia che vista la crisi di cassa dei vettori, è destinata a cadere nel vuoto, almeno nel breve-medio termine.
Così come sembrano ancora poco ascoltati gli appelli del World Travel & Tourism Council (Wttc), altra prestigiosa organizzazione che raccoglie 200 holding della filiera e che dopo aver avallato l’ipotesi del passaporto sanitario, ventilato già all’inizio d’autunno, ha cambiato rotta e a metà dicembre ha lanciato un appello per la ripresa immediata dei viaggi internazionali, senza l’assoluto bisogno di aspettare il vaccino per il Covid-19 e senza complicare il tutto con l’introduzione del passaporto sanitario. Un segnale condiviso con l’ Aci-Airports Council International, Wef-World Economic Forum e Icc-International Chamber of Commerce.
Poi, pur riconoscendo che la somministrazione del vaccino sarà una svolta per tutto il settore del travel, proprio alcuni giorni fa il Wttc ha auspicato un immediato via libera ai viaggi internazionali ancor prima delle vaccinazioni di massa, che per l’associazione guidata da Gloria Guevara avranno un impatto importante, anche se solo a lungo termine.
Ma anche se il nuovo allarme derivante dalla variante del virus proveniente dal Regno Unito ha nuovamente bloccato i buoni propositi di ripartenze, il Wttc ribadisce ora che i 174 milioni di posti di lavoro a rischio per il perdurare della crisi, impongono ai governi di stabilire alcuni “corridoi di viaggio che prevedano test prima dell’imbarco e protocolli di igiene e santificazione, al fine di dimostrare che è possibile operare viaggi internazionali in sicurezza”. Da qui la stesura di quattro misure per la ripartenza: innanzitutto un sistema riconosciuto e globale di tamponi rapidi prima dell’imbarco; protocolli di igiene e di salute comuni in tutto il mondo basati sugli standard proposti dall’Icao; l’attivazione di un modello di risk management; e un modello di Travel Pass sulla falsariga di quello predisposto da Iata che assicuri il riconoscimento comune del risultato di test e tamponi, senza dover introdurre restrizioni e quarantene.
LA VOCE DELLE COMPAGNIE AEREE. A proposito di Iata che rappresenta oltre 270 compagnie aeree nel mondo, la sua attività a strenua difesa di un comparto letteralmente devastato dal coronavirus, ha finora ottenuto ampia visibilità sui media ma scarsa ricezione dalle varie istituzioni. La sua più recente proiezione snocciola stime da far tremare i polsi, con 157,2 miliardi di dollari (circa 132,4 miliardi di euro) di perdite che colpiranno le compagnie aeree nel biennio 2020-21, e la certezza che entro marzo, se non interverranno aiuti dai Governi un buon 40% di aerolinee fallirà, con ingenti perdite di posti di lavoro.
L’appello costruttivo che la Iata ha diramato a chiusura d’anno è di qualche giorno fa ed è stato condiviso da A4E e guarda con preoccupazione all’immediato futuro, riguardo alla riforma degli slot proposta dalla Commissione Ue e destinata ad influenzare pesantemente tutto il trasporto aereo mondiale.
La riforma prevede la restituzione degli slot molto sottodata rispetto alle istanze avanzate da tutte le linee aeree di rilasciare serie di slot già da febbraio per pianificare meglio le stagioni operative. Infine, neanche tanto velatamente Iata denuncia il fatto che i politici dell’Unione Europea hanno ignorato – e continuano a farlo – le esperienze di compagnie e sistemi aeroportuali che ben conoscono i meccanismi del coordinamento degli slot e potrebbero contribuire concretamente a gestire meglio una situazione a fronte della quale non si può agire “al buio” o comunque con criteri improvvisati.
Comunque, con le uscite periodiche e sempre drammatiche di note, comunicati, lettere aperte e manifesti pubblici, questi organismi stanno sperimentando sulla loro pelle e su quella di chi rappresentano la sordità degli interlocutori pubblici, i quali di fronte alla pandemia non riescono a trovare la quadra tra l’emergenza sanitaria e quella economica.
Certamente non è un esercizio semplice, ma il fatto di ascoltare poco chi nel turismo e nei trasporti lavora da anni, e di accogliere solo formalmente le istanze da organismi internazionali ad alta rappresentatività, significa due cose: che alcuni governi non sono all’altezza della tremenda emergenza che ha colpito il pianeta e che la maggior parte degli organismi internazionali, alla resa dei conti, non hanno quel peso specifico sufficiente a influenzare le scelte dei governanti.
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