L’applicazione di questa normativa ha modificato a posteriori i termini dei contratti firmati dagli investitori con lo Stato, che prevedevano per il comparto una specifica legislazione, riconoscendo gli ingenti investimenti connessi alla realizzazione di queste opere e la differente natura dello stesso titolo concessorio rispetto a quello delle concessioni balneari.
La retroattività ha reso indispensabile il ricorso alla Corte Costituzionale. Conti alla mano, questi 26 porti turistici sostengono che l’aumento retroattivo dei canoni demaniali potrebbe portarli al fallimento, con la perdita di 15 mila posti barca complessivi e un “buco” di 190 milioni di euro a fronte del ricavo di 3,5 milioni di gettito per l’erario derivante dall’aumento.