Virgin Australia, seconda compagnia australiana dopo Qantas, non ce l’ha fatta a superare le difficoltà dovute all’emergenza da Coronavirus, ed ha annunciato di essere entrata volontariamente in amministrazione straordinaria.
La decisione arriva dopo che il governo australiano aveva rifiutato nei giorni scorsi di procedere al piano di salvataggio richiesto dal vettore, respingendo l’ultima richiesta di un prestito di 1,4 miliardi di dollari australiani. Prima di queste decisione, Virgin Australia aveva provveduto il mese scorso a cancellare quasi tutti i propri voli, per fronteggiare una situazione finanziaria che vedeva un debito di 5 miliardi di dollari australiani, pari a 3,17 miliardi di dollari Usa.
Adesso, il piano di amministrazione volontaria accettato dal vettore – la cui proprietà è tra gli altri, del governo degli Emirati Arabi Uniti, di Singapore Airlines e di Sir Richard Branson – mette a rischio circa 16mila posti di lavoro tra diretti e indiretti, a cui si aggiunge il “peso” di circa un miliardo di dollari australiani in biglietti prepagati.
A gestire l’intera procedura è stata chiamata la società di consulenza Deloitte, che avrà il compito di ricapitalizzare la compagnia e trovare dei nuovi finanziatori in modo da assicurarle un futuro passata la pandemia.
Le difficoltà di Virgin Australia arrivano mentre Branson, il fondatore di Virgin Group, ha rinnovato la sua richiesta di aiuti al governo britannico per mettere in sicurezza l’altro vettore del Gruppo, Virgin Atlantic. «La sopravvivenza della compagna dipende dalla possibilità di ricevere prestiti pubblici», ha ammesso il magnate. L’aiuto però, non sarebbe gratis, «la compagnia lo ripagherebbe».