Quanti sono effettivamente gli incentivi pubblici che arrivano nelle tasche delle compagnie aeree, in particolare delle low cost? Il tema è annoso ed emerge ciclicamente. Sono costanti le richieste di una maggiore trasparenza sui finanziamenti garantiti ogni anno dagli scali aeroportuali ai vettori, a iniziare da Ryanair (su cui, ricordiamo, pende un’istruttoria dell’Antitrust nell’ambito della querelle sul caro voli). Incentivi che sono stati oggetto di vari interventi normativi comunitari negli ultimi 15 anni, al fine di regolamentare la concorrenza e l’equilibrio del mercato del trasporto aereo. E sono altresì sempre più frequenti i legittimi interrogativi se il gioco valga la candela.
Secondo quanto riferito dall’Autorità di regolazione dei trasporti, nel 2022 al settore del trasporto aereo sono stati erogati 340 milioni di euro (nel 2017 secondo l’allora ministro Graziano Delrio, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, le erogazioni si attestavano sui 40 milioni di euro).
A cosa servono questi sussidi di denaro pubblico? Per rendere più attrattivo gli scali aeroportuali, in mano agli enti locali, generando così ricchezza in tutto l’hinterland. Le società incentivano l’avvio o il mantenimento di rotte aeree sovvenzionando le compagnie in cambio voli quotidiani e (teoricamente) milioni di passeggeri.
Si tratta di accordi commerciali perfettamente legali, come previsto dalla direttiva europea del 2009 che recita: «gli incentivi per avviare nuove rotte in modo da promuovere, tra l’altro, lo sviluppo delle regioni svantaggiate e ultraperiferiche dovrebbero essere concessi solo in conformità del diritto comunitario». Incentivi che, raccomanda la stessa Commissione, dovrebbero essere concessi all’insegna della massima trasparenza (più un auspicio che realtà, considerato che gli accordi firmati tra vettore e società di gestione aeroportuale sono pressoché blindati).
Secondo un’analisi del Corriere della Sera, però, la cifra resa nota dall’Autorità di regolazione dei trasporti sarebbe molto al ribasso: “L’anno passato – scrive il quotidiano – gli scali italiani hanno speso ulteriori 220 milioni per trattenere le aviolinee, portando il pacchetto di benefit a oltre 550 milioni di euro includendo gli sconti, le attività di collaborazione commerciale, eccetera. Un record. E un tesoretto che, per quanto riguarda la sola “attività volativa”, va per la maggior parte a Ryanair (oltre 63%), quindi a Wizz Air ed easyJet (circa 15% a testa)”. Con una precisazione: “Nella maggior parte dei casi si tratta di fondi privati, sono sempre meno quelli pubblici”.
Tra i benefit, come riferisce il quotidiano di via Solferino, potrebbero rientrare, ad esempio, la decisione del gestore aeroportuale di turno “di farsi carico delle spese di sistemazione in hotel dei passeggeri colpiti dalla cancellazione dei voli di quel vettore” e tutta una serie di attività di comarketing per la promozione delle località turistiche attraverso i canali social delle aviolinee. Ma non è chiaro come tutte queste voci vengano poi registrate nei bilanci delle società aeroportuali o come i costi vengano classificati nel rendiconto annuale.
Novità in arrivo potrebbero esserci grazie a un emendamento al decreto Asset in discussione in Parlamento, che attribuisce nuovi e più efficaci poteri di monitoraggio all’Autorità di regolazione dei trasporti a beneficio della trasparenza e dell’omogeneità dei criteri utilizzati dagli aeroporti per la concessione di sussidi allo sviluppo di rotte.