by Giulia Di Camillo | 31 Marzo 2020 11:15
Il coronavirus continua a danneggiare l’economia mondiale e, con lei, anche il turismo sta pagando il suo conto salatissimo. Hotel compresi, oggi alle prese con il duro e incomprensibile ostruzionismo dei portali di prenotazione, che nella quasi totalità delle ipotesi di voucher non ne vogliono proprio sapere, e se c’è una cosa che per loro conta – a questo punto più della legge – è il loro contratto, quello già stipulato con partner e clienti, per cui in un caso come questo scatta “il rimborso totale per causa di forza maggiore”.
«Solo un prepotente può ignorare le leggi di uno Stato», dichiara Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi, ricordando come lo strumento del voucher sia stato inserito per far fronte a un’emergenza sanitaria che sta intaccando gran parte dei business mondiali e che ha creato un’enorme crisi di liquidità. «Esiste per questo. E la stessa norma – prosegue – la stanno adottando anche in altri Paesi: la Francia ad esempio[1]. Non siamo i soli. Se c’è una cosa che mi auguro, una volta usciti da questa situazione, e che gli albergatori si ricordino il momento: di chi disprezza le regole di uno Stato in cui si opera. Manderemo una lettera di diffida».
Allo stato attuale il dialogo tra hotel e portali è complicato. La maggior parte dei portali, soprattutto i più grandi come Booking, «si rifiutano a prescindere di utilizzare il voucher, rimborsando il cliente e addebitando l’albergo – spiega il direttore – L’atteggiamento di Expedia, invece, è leggermente diverso: accetta lo strumento ma lo emette di suo, trattenendo i soldi già in cassa fino a quando questo non sarà utilizzato».
Il grosso del problema, aveva già sottolineato Fabio Borio, a capo di Federalberghi Torino, su Il Corriere della Sera, è sulle prenotazioni prepagate, che magari hanno goduto anche di sconti. Quella caparra in alcuni casi è stata restituita dai portali ai clienti, quando invece gli albergatori potevano farla confluire in un voucher utilizzabile in 12 mesi, come previsto dal decreto legge del 16 marzo[2]. «Le persone usano le piattaforme digitali, però il responsabile della prenotazione è l’hotel, è lui che dovrebbe amministrare quel denaro che invece è stato trattenuto da un intermediario, questo dopo essersi arrogato il diritto di cancellare i soggiorni. Si sono messi tra noi e il cliente».
Ed effettivamente, aggiunge Nucara, «i portali, in primis le Ota, hanno sempre detto di mettere in contatto l’offerta con la domanda, di non voler interferire nel rapporto contrattuale diretto. Qualcosa adesso non mi è chiaro. Il sistema italiano, ma non solo, andrebbe accompagnato e non ostacolato. Così si va a impattare in modo negativo sul già grave problema di liquidità: ora la scelta non è tra il voucher e i soldi, ma tra il voucher e il fallimento dell’impresa».
In tutto questo, a chiarire una volta per tutte come funziona, ci sarebbe l’emendamento inserito nel cura Italia[3], che intende limare definitivamente il meccanismo dei voucher, prevedendone “l’applicazione anche nei casi in cui il titolo di viaggio o il soggiorno siano stati acquistati o prenotati per il tramite di un’agenzia di viaggi o di un portale di prenotazione, anche in deroga alle condizioni pattuite”.
«Qui, se dovesse passare la modifica, si chiarisce tutto inequivocabilmente. Nonostante, per quanto mi riguarda, quando si citano i contratti di soggiorno nella possibilità di emettere il voucher come alternativa di rimborso non ci sarebbe altro da aggiungere», conclude Nucara, comunicando come il perdurare dell’atteggiamento negativo potrebbe portare «all’unica arma che le persone civili conoscono: far valere il proprio diritto». In sintesi, si andrebbe in causa.
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