Equiparazione fiscale sul fatturato generato in Europa da colossi come Google, Facebook, Booking o anche Airbnb. È stato uno dei temi più discussi durante il Consiglio straordinario dei 28 capi di Stato e di governo dell’Unione europea sull’economia digitale, organizzato nelle scorse settimane a Tallinn dalla presidenza estone di turno. Ma nessun accordo è stato raggiunto. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, ha ricordato che l’organo competente in materia è l’Ecofin e ha rinviato tutto alla prossima primavera.
Oltre alle pioniere Francia, Italia, Germania e Spagna – i quattro big dell’eurozona che hanno avanzato la proposta – dovrebbero essere 19 i Paesi a sostegno della web tax. Come è facile prevedere, le opposizioni arrivano principalmente dagli Stati Ue con regimi da paradiso fiscale, e quindi Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Malta e Cipro.
Il nostro premier Paolo Gentiloni ha dichiarato che, se non si dovesse arrivare in tempi rapidi al consenso generale sulla web tax, «i Paesi favorevoli, non solo possono, ma devono lavorare in coordinamento tra loro anche con le cooperazioni rafforzate». Quest’ultime, infatti, consentono di procedere anche in autonomia.