È ancora notte quando il Madagascar, e la sua capitale Antananarivo (detta anche Tanà), si fanno scoprire da chi arriva dall’Europa. E il primo impatto è di quelli che non si scordano. Tra auto, minibus collettivi e taxi brousse, in città sono già tutti svegli, pronti a iniziare un nuovo giorno in una città che ormai non conta più il numero dei suoi abitanti.
«Chi lo sa quanti sono veramente, dopo il colpo di Stato del 2009 dalle campagne sono venuti tutti qui», ci avverte subito Ravaka, il nostro angelo custode che ci seguirà come un’ombra per tutto il viaggio. «Ma Antananarivo è giusto un luogo di transito (peraltro con ottimi alberghi e ristoranti), una notte all’andata e una al ritorno per chi è diretto negli altri angoli del Paese», continua la guida.
Ed è un peccato, perché le stradine tortuose che si inerpicano sulle sue alture meriterebbero sorte migliore, come anche le tante tracce ancora presenti di architettura francese e del periodo reale (Ambohimanga, ad esempio, antica residenza della monarchia Meriva e una delle 12 colline sacre che circondano Antananarivo è stata dichiarata nel 2001 Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco).
«E pensare che venti o trenta anni fa si poteva tranquillamente girare a piedi per Avenue de l’Independance», ricorda chi è già stato da queste parti, per una passeggiata tra mercatini e venditori ambulanti, che dalla vecchia stazione dei treni – un gioiello liberty che non sfigurerebbe in qualsiasi città europea – conduceva fino alle scalinate della Città Alta e ai suoi panorami mozzafiato sugli altopiani circostanti (siamo pur sempre a oltre 1.200 metri sul livello del mare).
Ma per chi vuole provare a capirci qualcosa di questo Paese, è meglio farci l’abitudine da subito: in Madagascar l’alto e il basso vivono fianco a fianco, e si ignorano. Più o meno quello che aveva pensato più di mezzo secolo fa Charles De Gaulle. In visita ad Antananarivo, dall’alto della sua grandeur, credeva di aver già capito tutto di quest’isola-continente. «Il Madagascar è un Paese dal grande futuro… ma è destinato a rimanere tale». Cinesi permettendo ovviamente, ormai diventati il principale partner economico di Tanà.
E proprio la Cina è stata l’ospite d’eccezione del 6° International Tourism Fair Madagascar (nella capitale dall’8 all’11 giugno); un’edizione che nelle intenzioni degli organizzatori deve rappresentare un vero e proprio punto di svolta per gli arrivi stranieri sull’isola.
«Siamo ancora lontani dai livelli pre-golpe (circa 375mila presenze nel 2008), ma l’anno scorso siamo cresciuti del 20%, per un totale di 280mila arrivi», ci dice Vola Raveloson, direttore esecutivo dell’Office National du Tourisme de Madagascar, che sottolinea come la nuova scommessa dell’ente si chiami ecoturismo e turismo avventura. «Vorremmo che i tour operator italiani capissero quante cose si possono fare in Madagascar, oltre a Nosy Be. Il Paese non ha problemi di sicurezza (caso più unico che raro, qui convivono in pace cattolici, protestanti, musulmani e animisti) ed esistono strutture di buon livello, tra lodge in mezzo alla natura e campi tendati», prosegue la direttrice dell’Ontm.
Proprio come accade nel sud della Grande Île, dove le foreste di baobab lasciano il posto alla maggior parte delle aree protette. In fuoristrada, da Antananarivo a Tolear sono una decina di ore di viaggio, di solito spezzate in due o tre giorni. «È uno dei percorsi più belli dell’intero Madagascar, sempre a contatto con la natura tra risaie e aree protette, grandi savane e sterrati di terra rossa», spiega Gabriella, ex-giornalista italiana approdata dopo anni in giro per il mondo a Tulear per gestire un eco-lodge affacciato sul Canale del Mozambico.
Così, seguendo la Route National 7, si passa dapprima lungo i piccoli villaggi dell’etnia Merina (sono il gruppo etnico più numeroso di tutto il Paese e il loro fu l’ultimo regno in Madagascar fino all’arrivo dei francesi) e poi da Ambositra, capitale indiscussa della lavorazione del legno, per proseguire verso il Parco nazionale di Ranomafana e quello di Zombitse, nella terra dei cercatori di zaffiri.
«I primi sono stati trovati pochi anni fa – ci avverte David, oggi driver di professione, ma con alcuni parenti cercatori – arrivano da tutte le parti del Madagascar, ognuno si sceglie una zona e incomincia a scavare. Con un po’ di fortuna le pietre si possono trovare anche a pochi metri sotto terra». E chissà cosa ne pensano i Bara di tutti questi cercatori, loro popolo nomade e allevatore di zebù, il cui status sociale si misura in base al numero di capi posseduti. «Qui vige la poligamia – prosegue facendo l’occhialino il nostro autista – basta riuscire a rubare tanti zebù quante sono le mogli».
Ma il Madagascar è soprattutto natura, e il governo ha fatto molto per tutelare le aree protette. Per accedere ai parchi è d’obbligo pagare un ticket d’ingresso ed essere accompagnati da una guida ufficiale, proprio come nel Parco dell’Isalo: una superficie di circa 80mila ettari, tra foreste e canyon di arenaria che nascondono specie vegetali uniche e animali come lemuri, camaleonti e l’inavvicinabile fossa, l’unico felino predatore dell’isola. Per visitarlo, i requisiti richiesti non sono molti. «Capacità d’adattamento e rispetto per quello che si incontra, perchè alla fine tutto torna». Almeno secondo l’antica saggezza dei Bara. Rivisitata a uso e consumo degli europei.
FAI DA TE ? MEGLIO EVITARLO. Il Madagascar? Destinazione magnifica, ma ancora troppo cara. A cominciare dai voli, ma anche per i servizi a terra e le strutture. Eppure la domanda per chi vuole andare alla scoperta della Grande Isola continua a esserci, anzi negli ultimi anni è cresciuta. «Da qualche tempo, con l’arrivo di nuove compagnie che volano su Antananarivo (Tanà), si riescono anche a trovare buone tariffe. Ma fondamentale rimane sempre rivolgersi a un tour operator, il Madagascar non è ancora terra da turisti fai da te», racconta Alessandra Loddo, senior consultant Indian Ocean Il Diamante.
«Se si esclude Nosy Be, ormai diventata un luogo troppo turistico non adatto a chi desidera vivere la magia del Madagascar, gli itinerari richiedono tutti una certa dose di adattamento, con lunghi trasferimenti in fuoristrada, e nonostante la presenza di sistemazioni anche di ottimo livello», aggiunge Giovanna Garavaglia, titolare di Lombard Gate, storico operatore milanese da sempre impegnato a disegnare itinerari originali in tutto il Paese.
«Escludendo magari il nord, più conosciuto, e in alcuni punti rovinato dal turismo di massa – prosegue un’altra esperta di Madagascar come Maria Pia Valcasara, titolare di Antichi Splendori – tutta l’isola si presta a tour on the road capaci come in pochi altri luoghi di conoscere a fondo la cultura e le tante etnìe presenti».
Peccato solo, visto con gli occhi di chi ha conosciuto il Paese prima del colpo di Stato, che alcune cose siano cambiate: «Penso ad esempio ad Antananarivo, una città che anni fa poteva, almeno nelle zone centrali, essere tranquillamente percorsa a piedi, alla ricerca dei suoi angoli più nascosti».